Il paradosso che porta alla solitudine.

Il paradosso che porta alla solitudine.
Partiamo da questo: “è nato prima l’uovo o la gallina?”
Non è una domanda di psicologia o di psicoanalisi, anche se dopo ne vedremo il collegamento.
E’ uno dei più popolari e antichi paradossi che la ricerca scientifica ha creduto di risolvere per la felicità dei tanti curiosi che finalmente avevano una soluzione certa. Ma quella gioia non è durata un secolo. Abbastanza presto è stata interrotta da una ricerca che arrivava a conclusioni opposte.
Infatti il professor John Brookfield aveva dimostrato che l’uovo della gallina è nato per primo perché derivato da quello di un anfibio, che l’ha depositato fuori dall’acqua circa 350 milioni di anni fa, dopo essersi evoluto in rettile. Quell’uovo, come altri esseri unicellulari, avrebbe iniziato la sua ulteriore evoluzione fino a diventare una gallina. Sembrava molto logico, praticamente inattaccabile.
Ma successivamente Colin Freeman, con i suoi collaboratori e l’aiuto di un super computer, ha dimostrato che senza una particolare proteina, prodotta dalla gallina stessa, non esisterebbe l’uovo. Quella proteina infatti, interviene come catalizzatore necessario a trasformare il carbonato di calcio in cristalli di calcite, che si sovrappongono e si uniscono fino a formare il guscio rigido. Dunque è necessario che esista la gallina perché venga prodotto l’uovo, così come lo conosciamo.
Questa contrapposizione di teorie ugualmente accettabili salva il paradosso, che al di là dell’evidenza scientifica, resta comunque valido come esempio di rompicapo.
Un rompicapo, portato nel setting psicoanalitico, è quel tipo di conflitto che genera la confusione da cui una persona teme di non uscire mai più. E non certo per mancanza d’intelligenza, anzi per il suo utilizzo spesso eccessivo.
Facciamo un esempio, un caso di “psiconevrosi” tipico.

Il paradosso che porta alla solitudine

“Donna”, è questo il nome proprio che le diamo per l’occasione, è tendenzialmente estroversa, piuttosto bella, vicina ai quarant’anni, laurea scientifica, figlia unica, amante dell’arte, di musica, di viaggi e di teatro. Sintomo psicosomatico: anoressia mascherata e ben controllata. Tre relazioni amorose importanti e diverse storielle. Ha la madre insegnante, possessiva, depressa e ansiosa. Il padre commerciante, spesso assente, impegnato in politica, con vari rapporti sessuali extra coniugali. Regolarmente scoperti dalla moglie, che perdona sempre per paura di perderlo, ma che trascura le conseguenze psicopatologiche su se stessa e sulla figlia.
Attualmente “Donna” è single: ha deciso di lasciare il suo ultimo partner perché, dice, non è affidabile. Ovviamente non si accorge di difendersi con continue proiezioni del padre sugli uomini. Nemmeno della più semplice constatazione che il suo uomo non è diverso da suo padre. Non accetta ancora l’idea che il suo inconscio può averlo scelto proprio per questo, per la legge della pulsione a tornare costantemente sul vissuto non risolto, anche se doloroso. Per ora trova più logico obiettare che non ha mai perdonato le scappatelle dei suoi uomini, quindi non è come sua madre e non punta ad uno come suo padre.
La razionalità è spesso nemica dell’inconscio, soprattutto quando viene usata in difesa dei conflitti psichici cronici e come ostacolo alla comprensione profonda dei meccanismi di difesa.
La certezza di essere intelligente e di poter comprendere tutto, usando la logica della coscienza, è davvero un ostacolo duro verso la scoperta del materiale che abita l’inconscio.
Donna si è brillantemente laureata, ma in una materia che allena molto l’intelligenza induttiva, quella che parte da vari dettagli e porta ad una generalizzazione.
Questa sua capacità rappresenta il contrario del ragionamento deduttivo prevalentemente usato in psicoanalisi. Nel percorso psicoanalitico infatti è prevalente la partenza da uno stato psicofisico globale per scendere a dettagli della formazione della personalità. Conosciute iniziato a superare le resistenze, si cercano con minuziosa pazienza le relazioni primarie, le fantasie, le ferite, i conflitti, per poi risalire e riconsiderare il proprio comportamento presente. La ricerca di una costante generalizzazione è un tentativo di fuga e ci si dovrebbe chiedere perché.
“Donna” dice che lei ha tantissima voglia d’amare ma non trova l’uomo che l’accetti. Gli uomini per lei sono “deludenti”, quando parla in termini educati e “stronzissimi, scusi il termine”, quando si lascia andare un po’.
Anche in questo caso confonde la voglia cosciente, che solo in seguito riconoscerà come copertura, con la pulsione istintiva, che troverebbe la soluzione se non fosse ingabbiata nel suo antico rancore e nella sua ansia.
In quella fase dell’analisi era importante che si chiedesse che cosa ci può essere di più profondo e importante che l’aveva condizionata in modo tanto duraturo, da impedirle di muoversi liberamente fino a quarant’anni.
L’ipotesi che propongo qua, con i pochi dati che ho presentato, ci riporta al momento del previsto passaggio di testimone tra sua madre e suo padre.
Parlo di quando la bimba piccola è spinta dalla sua natura (o libido) a lasciare l’abbraccio nutritivo della mamma per andare verso il papà.
A quel punto può succedere che:

  • La mamma non sia disposta a perdere la bella sensazione di tenerezza che prova nell’accudire la figlia;
  • Il papà si sia già allontanato da loro due, per evitare di essere escluso;
  • La mamma, abituata alla simbiosi con la figlia, non riesca più a stabilire il rapporto amoroso adulto con il marito;
  • Il papà abbia trovato nel lavoro, o in altro, il piacere narcisistico capace di sostituire l’amore ormai perso;
  • La mamma sia gelosa della forte attrazione che la bimba ha sul papà e cerchi di combatterla in ogni altra maniera.

Come risultato la bimba impara che la mamma è un porto sicuro. Che la blocchi a se stessa, che la manipoli per averne sempre il controllo, che le proibisca palesemente di avvicinarsi al papà, magari denigrandolo, lei è la vincitrice, la più forte dunque la più affidabile.
Ma il papà che sta facendo per la sua bimba nelle situazioni che ho descritto?  La lascia alla mamma e rinuncia al piacere della sua paternità. Preferisce giocare con il lavoro o gli amici. Non favolosa come idea. E’ chiaro che in un soggetto così prevale la componente regressiva, incapace di opporsi alla fantasia dell’onnipotente mamma.
Allora di chi è la responsabilità maggiore: della mamma simbiotica o del papà bambino?
Insomma, “è nato prima l’uovo o la gallina?”
Per Donna pare che la colpa sia del suo papà, un papà ovviamente interiorizzato anche nella sua componente negativa, che non l’ha accolta e non l’ha difesa, un papà proiettato su tutti gli uomini e attraverso di loro costantemente respinto “perché inaffidabile”.
Non si accorge però che con questa pseudo soluzione castra la parte di sé più importante: la sua possibile maternità.
Restituisce al padre il rifiuto palese e riserva alla madre i sensi di colpa per averla castrata. Solo che la madre non ha bisogno di proiettarla all’esterno: è già se stessa.
Donna vive il suo paradosso e non riesce ad uscirne. Potrebbe farlo se avesse fiducia almeno in una figura sostitutiva del padre: uno psicoanalista, come esempio più logico.
Proiettare la sua sfiducia, acquisita, sullo psicoanalista le dà la possibilità di parlarne apertamente, di elaborarla, liberandosi delle emozioni e dei sentimenti che da sempre è costretta a nascondere. Quindi riconquistare la fiducia naturale, quella che aveva prima del condizionamento, e allargarla a tutta la categoria dei maschi.
Da dire è semplice, da eseguire più difficile. Comunque, è la sola possibilità seria di riprendere in mano la propria vita.

Lascia un commento