Bisogno e pretesa nel linguaggio corporeo

Bisogno e pretesa nel linguaggio corporeo. L’atteggiamento di pretesa appartiene a quelli che Freud inserisce nella fase orale della formazione della personalità. La fase del bisogno primario.
Ma il messaggio che manda è poco dolce, non accompagna un’immagine di bimbo pacioccoso, che succhia il seno con soddisfazione. Anzi, è prepotente, poco in sintonia con l’idea che ognuno di noi ha di quel periodo della vita.
Siamo nella primissima parte di quella fase, quando la bimba e il bimbo sono in simbiosi con la madre, quindi ottengono cibo e protezione nel momento stesso in cui li richiedono. E’ il momento detto di onnipotenza.
Accade normalmente, cioè quando la mamma è tranquilla e a disposizione della sua creatura. Ma non succede sempre. Il lavoro, le preoccupazioni, le distrazioni, una malattia, tante situazioni possono alterare le capacità della mamma di fare ciò che vorrebbe e dovrebbe.
Partendo da questi ostacoli possiamo capire la reazione del neonato, che non comprende, non è chiamato a comprendere quel che succede. Ha bisogno e pretende che il suo bisogno venga soddisfatto.
Parliamo di personcine inermi, che vivono solo se esiste la protezione della mamma o di chi ne fa le veci.

E’ importante tenerlo presente perché solo così si capisce la tragedia che nasce in quel momento.
Se la madre si assenta per qualunque motivo, per periodi che i piccoli vivono come pericolosi, prima avanza la paura poi è possibile che scatti il terrore.
Solo a quel punto la richiesta si trasforma. Diventa prima insistente, poi tenace e aggressiva, infine pretenziosa.
A questo punto non è più ammesso il rifiuto, nessuna forma di rifiuto: non l’assenza, non il ritardo, non l’attenzione ad altri (figli o marito, o ideologie) e nemmeno un semplice cambiamento di programma.
Il bisogno s’ingigantisce fino a diventare impossibile da soddisfare. Ma più cresce il bisogno, di ora in ora, più aumenta la sensazione di essere trascurata, dimenticata, abbandonata, fino al terrore di non sopravvivere.
A questo punto vengono tentate tutte le possibili soluzioni: dalla seduzione alla pretesa.

Bisogno e pretesa nel linguaggio corporeo

E soprattutto il cervello, che non ha ancora sviluppato la capacità di pensiero comanda al corpo di mandare lui il segnale di necessità e di urgenza. Il corpo esegue, ovviamente. Fateci caso come s’irrigidisce un bambino quando chiede “facendo i capricci”, cioè cercando di prevalere sul rifiuto della mamma, cercando di richiamare l’attenzione su di sé.
Quella rigidità potrebbe restare come una specie di timbro nella persona che ha vissuto e sopportato una simile carenza.
Farà parte dell’insieme di resistenze riportate nella vita adulta.
Una in particolare sarà la preferita: quella che si è dimostrata vincente, ma tutte insieme saranno condizionanti per la persona.
Vediamo un primo esempio.
Un giovedì d’agosto sono tornato in studio, come ogni settimana. Arrivato sul pianerottolo dell’ascensore vedo una signora che sta procedendo verso la porta a vetro. Sono a qualche passo da lei e noto una postura molto compatta, ferma mentre cammina. Un blocco in movimento, insomma.
Io ho appuntamento con una persona che non ho mai visto fisicamente, o che non ricordo. Insomma la chiamo “signora scusi, posso sapere chi cerca?” Mi dispiacerebbe se suonasse e nessuno venisse ad aprire, visto che secondo me non c’è nessuno, dentro. Quella non si volta ma va verso il pulsante della luce, scambiandolo per il campanello. Ripeto “signora scusi, ha un appuntamento?” Non si volta nemmeno adesso, resta perplessa perché non sente il suono e, restando sempre col corpo fermo, prova con il pulsante a destra che infatti è il campanello. Nessuno risponde e io insisto: “signora scusi, con chi ha appuntamento?” Finalmente parla, ma sempre senza voltarsi, come se il suo corpo non fosse in grado di farlo, e continua lentamente nel suo cammino “si” dice mentre apre la porta a vetro e si avvia al campanello interno, “con la dottoressa M”. Io avverto: “ma non c’è nessuno oggi, la dottoressa è in vacanza”. La signora ignora me e guarda diritto il campanello. Suona mentre dice “c’è, io ho appuntamento”. Il resto del mondo per lei non esiste.
E infatti continua senza girare quel suo corpo tutto d’un pezzo. La dottoressa M effettivamente apre la porta e la signora, imperterrita, la saluta guardando dritto davanti a sé, anche se la dottoressa le è di fianco. Poi va verso la saletta d’attesa, sempre senza girarsi. Ci rimango un po’ male, ma più per la rabbia e la sofferenza che ho visto in quel corpo che per essermi sbagliato.
Ecco, questa è una postura tipica di una persona psichicamente fissata alla pretesa, ad uno stadio di non ritorno.
Ma si tratta di un caso limite che prendo perché rende chiaramente l’idea di quanto l’atteggiamento di pretesa possa diventare rigidità psichica e mentale e quanto possa incidere sulla postura corporale.
La persona adulta che si è inconsciamente fissata sulla pretesa non vede altre soluzioni, non le esplora, e non le riconosce neanche se le vengono proposte e descritte. Continua a vedere solo il suo bisogno e la paura costante di essere dimenticata.
Anzi potrebbe arrabbiarsi se qualcuno tentasse di convincerla che esistono ipotesi differenti, perché ritroverebbe in quella persona la mamma che si distraeva, che non le dava attenzione, che pensava ad altro, che l’abbandonava.

La pretesa, nell’età adulta, diventa la fissazione nel volere ciò che si ritiene giusto, ma partendo rigidamente dal proprio punto di vista.
L’antico bisogno insoddisfatto rimane in tutta la sua impellente ed egoica urgenza e acceca come un faro puntato diritto negli occhi.
Ne consegue che se la persona adulta fosse anche la più intelligente del mondo, non capirebbe fino in fondo quello che le succede quando pretende, perché sarebbe dominata dalla paura.
Anzi, paradossalmente, più è intelligente più diventa rigida: convinta della propria superiorità, quella che all’inizio della vita doveva essere idea di onnipotenza, non accetterebbe di cambiare opinione e men che mai atteggiamento.
Eppure questa sarebbe la terapia giusta. Se una simile persona accettasse di conoscere davvero se stessa, in tutta la storia della formazione della propria personalità; se riuscisse ad avere fiducia in qualcuno che potesse fornirle un nuovo modello di genitore, uscirebbe dal tunnel in cui è prigioniera.
Infatti l’antidoto della pretesa, cioè della rigidità che copre il bisogno di pretendere e la paura di non controllare, è proprio l’apertura mentale, la disponibilità vera e totale ad accettare ipotesi diverse, a verificarne l’efficacia e a decidere in modo creativo, a seconda della situazione.

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