Propongo una specie di paradosso: riflettere con calma sull’impazienza. Chiarire da dove viene, quali conseguenze produce sulla salute e come superarla.
La prima osservazione sembra di tipo superficiale, ma presenta un prezioso valore statistico: l’impazienza è aumentata in modo esponenziale negli ultimi 30 anni e interessa tutti i tipi di relazioni.
Internet ha dilatato sempre di più la nostra visione del mondo portando la fantasia a contatto con una specie nuova di realtà. L’hanno chiamata realtà virtuale e quel termine che sembrava assurdo è diventato d’uso comune.
Cos’è la realtà virtuale? Un’illusione proiettata da un piccolo schermo che mostra scene di vita a cui possiamo partecipare ma solo escludendo il contatto corporeo.
Scene che la mente confonde spesso come reali per effetto del meccanismo inconscio dell’identificazione.
Una mostruosità psico-pedagogica di cui pochi hanno compreso il vero peso sulla vita sia degli umani: sia su quelli in via di sviluppo sia su quelli che all’anagrafe sono già cresciuti.
Inoltre, Internet ci ha abituati ad avere subito quasi tutto quello che possiamo desiderare nella realtà.
Certo, se una persona desidera avere una nave da crociera entro 24 ore sarà impossibile che un corriere gliela porti a casa la mattina dopo. Ma se cerca qualcosa tipico di una nave, con buona probabilità lo trova via internet.
Possiamo aspirare anche a quello che fino a ieri non si poteva raggiungere, la vetrina delle varietà è quasi infinita e va al di là degli oggetti.
Abbiamo bisogno di una gratificazione?
Semplice, si mandano messaggi sui social e si aspettano i like.
Non sappiamo come sfogare la rabbia? Offendiamo a caso qualcuno sulla piattaforma che ce lo permette.
Se poi arrivano reazioni negative ci mettono nella condizione migliore per esplodere.
Abbiamo un dolore? Gli amici virtuali sono pronti a consolarci.
Ovviamente, anche i rapporti amorosi e sessuali possono passare dai social.
I social offrono una soddisfazione immediata e “pazienza” se spesso tolgono il piacere del sentimento, dello scambio reale, della conquista.
Vince il bisogno della pulsione egoica, irrinunciabile.
Perché?
Per quale motivo gran parte del mondo attuale preferisce il tutto subito a ciò che può essere conquistato e goduto con calma?
A rigor di logica, la conquista regala un tipo di soddisfazione ben più grande. Fare un certo sforzo per realizzare un sogno permette una scarica di gioia e di gratificazione, personale e sociale, impossibile nel “tutto e subito”.
E’ un principio fisico e biologico: più forte è la carica più potente sarà la scarica.
In altri termini: più desideri qualcosa di raggiungibile, sottolineo raggiungibile”, e più ostacoli dovrai superare per conquistarla, più grande e duratura sarà la gioia di averla ottenuta.
Ma proviamo ad approfondire un po’.
Sognare è un bel meccanismo di difesa, fatto per rendere sopportabile una condizione di sofferenza. A volte è difficile farne a meno, soprattutto se non si hanno gli strumenti psico-fisici per uscirne. Altre volte il sogno che sembrava troppo lontano dalla realtà viene invece realizzato, e questa è la situazione migliore.
Ma abusare dei sogni può toglierci la forza di vivere le più belle esperienze. Può portare alla pigrizia depressiva, dove tutto assume i contorni del troppo difficile per essere affrontato.
Quindi dobbiamo sempre mettere alla fine di un sogno la domanda: posso davvero realizzarlo?
Credo che Jeff Bezos, l’ideatore di Amazon, si sia fatto questa domanda prima di lanciare il suo ambizioso programma di mandare delle navicelle nello spazio.
Naturalmente è solo una mia ipotesi.
Del resto era nato in una cittadina del Nuovo Messico famosa soprattutto per ospitare il più grande raduno mondiale di mongolfiere.
I giovanissimi genitori, 17 e 18 anni, si erano separati quando Jeff aveva poco più di un anno, quando cioè il piccolo non aveva ancora alcuno strumento per comprendere che cosa stesse succedendo intorno a sé. Forse la fantasia inconscia di volar via dalla realtà è stato il meccanismo di difesa più semplice e più utile in quel tragico momento.
Quando aveva quattro anni, cioè nel pieno di quella che Freud ha individuato come fase fallica, per la speciale tensione psico sessuale che la caratterizza, Jeff è stato costretto ad assistere al “furto” del suo primo grande amore: la mamma. E’ così, infatti, che va visto con i suoi occhi il matrimonio di sua madre con un uomo nuovo, un estraneo, un certo Bezos, di cui più tardi riceverà anche il cognome. Anche in quell’occasione potrebbe essersi rifugiato nella fantasia di volare oltre gli avvenimenti reali.
E’ possibile che la pienezza della fase fallica non l’abbia mai raggiunta veramente e che si sia in qualche modo bloccato nella sua anticamera: la fase preedipica. La fase dello sviluppo psico sessuale contraddistinta dal desiderio inconscio di sconfiggere il padre per riavere la madre. Ma la scelta che avrebbe voluto fare gli era impedita dalla scelta della madre stessa. Era stata lei che aveva scelto di formare una nuova famiglia con un altro, di mettere al mondo altri figli con il nuovo arrivato, complicando ulteriormente le relazioni.
Credo che anche questo sia rimasto scolpito nel cuore di Jeff come un marchio indelebile.
Un dato di fatto è che da grande acquisterà, tra l’altro, una catena di supermercati: simbolico e chiaro segnale di ritorno all’abbondanza che avrebbe dovuto avere nella fase orale, quando la mamma avrebbe dovuto occuparsi interamente di nutrirlo e garantirgli una protezione duratura.
E’ di nuovo una mia ipotesi ma perché l’ho scelta?
Perché Jeff aveva mostrato interessi lontanissimi dal cibo: si era laureato in ingegneria elettronica e si era specializzato in informatica.
Il cibo non avrebbe dovuto essere centrale nei suoi interessi di lavoro. Se lo era diventato, la spinta doveva per forza essere venuta dall’inconscio, da una pulsione di carattere emotivo, lasciata in sospeso da tempo ma sempre viva e pronta a trasformarsi in azioni.
Quando ha cominciato a fare l’imprenditore si è concentrato sulla possibilità di vendere libri on-line mettendo come obiettivo la velocità di consegna non il valore del contenuto.
Farà tante altre imprese da grande, sempre con una velocità di esecuzione straordinaria. Diventerà uno dei più munifici benefattori di molte associazioni benefiche e di protezione ambientale, ancora una volta identificandosi col Jeff bambino, abbandonato.
Tornando alle mongolfiere, lo immagino da piccolo, guardare il cielo pieno di mille colori, con questi enormi palloni che diventavano sempre più piccoli mentre si alzavano, rubando i suoi pensieri e le sue fantasie. Lo immagino mentre sale sul più bello con tutte le sue cose, e vola oltre le nuvole verso lo spazio infinito.
Penso seriamente che da questa ripetuta esperienza sia nato il suo progetto di far viaggiare gli oggetti in ogni parte del mondo e poi di mandare le persone stesse nello spazio.
Un esempio eccezionale di un sogno che è riuscito a trasformare in realtà lucrosissima ma anche altrettanto benefica.
Detta così sembra un’impresa semplicissima, ma per quanto sia stata facilitata da un ambiente molto favorevole ad accogliere le nuove idee e ad investirci il necessario, resta una bellissima eccezione. Un mix ben riuscito di sogni, senso degli affari, fiducia, tenacia e un po’di meritata fortuna.
Ora riprendiamo il tema dell’impazienza e passiamo dalla prima descrizione che ho fatto, alla ricerca di una sua causa dimostrabile e ancora più profonda.
Per “profonda” s’intende qualcosa che appartiene alla memoria più antica, a quella che inizia dalla prima infanzia, ai fatti che hanno contribuito a formare la personalità e che quindi sono ancora nella persona adulta.
Come ho provato a dimostrare nel caso di Bezos.
Il metodo “tutto e subito” è quello usato all’alba della vita e serve precisamente a soddisfare i bisogni primari di personcine totalmente dipendenti. Non avendo ancora la possibilità di procurarsi il cibo, di regolare le spinte espulsive e di parlare, i piccoli umani possono solo urlare con forza, insistere fino allo sfinimento e alla depressione, se le loro necessità vitali restano insoddisfatte troppo a lungo.
La dipendenza è dunque una caratteristica necessaria allo sviluppo, ma solo nella prima infanzia.
Se resta impressa nella personalità come un timbro a fuoco è perché la memoria conserva l’idea che in quel primo periodo di vita è stata una garanzia mentre le successive esperienze l’hanno deluso o ferito. Come si può ben comprendere, si tratta di un messaggio vitale.
Crescendo dovrà continuamente scegliere se rischiare di essere ferito o mettersi nella posizione di chi dipende da qualcuno, o da un suo sostituto.
Per questo è davvero difficile, a volte impossibile per un adulto, uscire da una forma di dipendenza cronica.
Mentre diventa adulto, ognuno deve scegliere tra due opzioni:
- restare con la fantasia nella fase orale (prima infanzia) in cui si utilizza il metodo “tutto e subito”, quindi pretendere, a livello simbolico, che l’intero mondo sia una grande mamma obbligata a soddisfare immediatamente ogni suo bisogno;
- imparare a conquistarsi quello che desidera, combattere le frustrazioni e godersi intensamente le conquiste.
E’ vero che non dipende solo dalla volontà. Sappiamo che le tendenze naturali e il materiale incompiuto dell’inconscio giocano un ruolo importante, ma la volontà cosciente ha un suo peso e va incoraggiata ad intervenire con tutti i mezzi.
La persona (quasi) ferma alla fantasia di trovarsi ancora nella fase orale conoscerà molto presto il peso della mancanza di mamma. Nessun’altra donna al mondo, infatti, potrà sostituirla, tenerla nuovamente nell’utero, riportarla all’età in cui una vera mamma era in simbiosi con lei.
Ne cercherà disperatamente dei sostituti: nel migliore dei casi tra le persone più protettive, ma anche nelle sostanze dopanti, nell’alcool, nel gioco o nei social.
Oppure penserà di averla trovata tra le istituzioni e le persone capaci d’illudere: alcune in modo deliberato, quindi truffaldino, altre in modo inconscio, ma non meno deleterio.
La sua impazienza è la sua paura di non riuscire a riprendersi il paradiso perduto.
Quella paura diventa una previsione, cioè uno stato d’ansia. più o meno grave a seconda di quanta energia assorbe
Quella che normalmente chiamiamo impazienza è ansia, è angoscia, che la psicoanalisi vede come il segnale, o sintomo, di una forma di nevrosi che può essere di entità lieve oppure grave.
Se siano l’una o l’altra lo si può scoprire chiedendo una psicodiagnosi, completa di test proiettivo, ad uno psicoterapeuta esperto del settore.
I tentativi di ridurre l’impazienza ad un tratto normale del carattere venivano fatti quando le persone cercavano di nascondere ogni forma di disequilibrio dei propri cari.
Era il tempo in cui non esistevano gli psicoterapeuti, che curano piccoli e medi disturbi di equilibrio ma solo gli psichiatri, cioè gli stessi che curavano le varie forme di follia.
Era un pallido meccanismo di difesa davanti ad un contesto sociale che non ammetteva alcuna forma di diversità.
Oggi la maggior parte di persone può ammettere di avere uno stato d’ansia e di aver bisogno di psicoterapia.
E’ un duplice segnale: da un lato svela che si sono fatti progressi culturali che permettono di distinguere meglio i confini del proprio stato di salute, dall’altro è la denuncia di un contesto sociale che pretende davvero troppo.
Quindi riassumiamo. Quella che si definisce impazienza è uno stato d’ansia, o angoscia. E’ una condizione di conflitto costante da cui una persona on riesce ad uscire da sola.
Abbiamo bisogno, tutti, di ritrovare tempi e modi più naturali, più tranquilli, più vicini alla nostra personalità naturale.
Ognuno alla propria.
Partiamo da questo. La fiducia è importante ma va data solo a chi offre prodotti o soluzioni rispettose delle peculiarità individuali.
Ognuno nasce con un proprio bagaglio di caratteristiche sia fisiche che psicologiche. Oggi sono conoscibili quasi completamente, quindi è più facile cercare di soddisfarle.
Sembrano solo parole ma sono un programma.
Costa fatica a volte seguirlo, perché il mondo tende ad andare verso il guadagno di pochi, sorvolando sul danno che procura a molti e questo non lo possiamo mai accettare.
Ma quando siamo cresciuti, quando riusciamo a superare le fasi delle prove generali dell’evoluzione, quando prendiamo coscienza di tutto il buono di cui disponiamo, allora dobbiamo solo tiraci su le maniche e partire fiduciosi.
A quel punto dobbiamo crederci, dobbiamo credere in noi stessi, nelle nostre migliori capacità, dobbiamo lasciare per strada l’egoismo della prima infanzia e munirci della voglia di scambiare con tanti altri la nostra voglia di vivere.
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Abbiamo tutti la speranza che stia finendo l’epoca del Covid 19. Mentre ce lo auguriamo continuiamo ad usare la prudenza necessaria, pansando a noi stessi e alle persone che amiamo
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