Incoscienza e coraggio

L’astuto meccanico girava intorno alla mia nuova macchina già sfasciata.
Il mio errore si era aggiunto a quello di un camionista su una stretta strada di provincia. Siamo finiti maluccio sia io che l’auto. Ma io me la sono cavata con un po’ d’ospedale, in coma, mentre quella pareva in attesa dello sfasciacarrozze.
Un lungo sogno interrotto prima dell’alba.

Il meccanico la guardava con finta attenzione mentre sbirciava la mia faccia, pronto a cogliere l’espressione più favorevole al suo piano.
< Eh sì, a vent’anni prima si fa poi si riflette>
Pausa da gran venditore più che da filosofo.
< E adesso? Credo che ti convenga cambiarla. Per poche lire io te ne procuro una giusta>
Non lo ascoltavo ma mi sentivo obbligato ad accettare come se me lo proponessi io stesso.
Avevo appena deciso di convivere con la mia ragazza e per quella macchina avevo una montagna di cambiali da onorare.
Morto mio padre nessuno le poteva pagare al posto mio, dovevo trovarla io, al volo, la soluzione migliore.
Dissi di sì. Mi diede intanto l’auto di cortesia.
Ripresi a girare per la campagna alla ricerca di una casa. Persa la macchina dovevo trovare almeno un nido se volevo avere il coraggio di ripresentarmi a lei da uomo.
Diventai molto reattivo, ero pieno di speranza come se tutto mi fosse scivolato addosso.  
All’imbrunire i miei occhi vedevano ancora un bel sole alto. Entrai in una vecchia osteria sulla strada. Tavoli in legno massiccio, odore forte di fumo e vino e umori che sapevano di storia. Semibuio. Nessuno in sala.
Chiamai a tono alto:  <c’è qualcuno?> Silenzio, tipo stazione abbandonata.
<Un attimo, vengo subito> sentii da lontano una voce maschile, rauca, e insieme dei passi lenti avvicinarsi.
<Eccomi, scusa ma mi ero appisolato. Io sono stanco, sai è per l’età, mia moglie non ha più voglia di fare questo mestiere. Cosa posso darti?>
<Una semplice informazione: sa che ci sia un appartamento libero qua vicino?>
<Vicino, non saprei, vicino, qua vengono sempre gli stessi e ognuno ha la sua casa. Siamo in campagna, magari se vai più vicino alla città…> Intanto mi accompagnava adagio verso l’uscita, un po’ scocciato che non fossi un vero cliente.
Alla porta si fermò come colpito da una luce accecante. <Vicino? ma si, ho un’idea. Qui sopra c’è un appartamento, certo che c’è, come avevo fatto a non pensarci, c’è e si può liberare anche subito. Sei proprio fortunato, vieni che te lo mostro>.
In un attimo eravamo nell’ingresso, un corridoio largo e lungo dove oggi ricaverebbero un comodo monolocale, con una grande stufa a ripiani che avrebbe potuto scaldare un capannone, e poi ben quattro camere spaziose.
Mi sembrava esagerato per due, ma lui, lui era come se mi avesse letto in faccia.
<Avete figli?>
<No>
<Siete una coppia giovane, farete dei figli e qui ci staranno tutti. Contento?>
Più che altro confuso ma cercai di nasconderlo.
<Hai un lavoro?>
<Certo, un buon lavoro, insomma.>
<Bene, questo sarà un di più per la sera>
<Un di più…>
<Ma si, l’osteria che c’è sotto. Di giorno non ti accorgi nemmeno che ci sia, di sera potete giocare a carte e in cassa trovate qualche soldino>.
In breve capii il motivo del suo entusiasmo: già si vedeva fuori da quella casa e soprattutto fuori da quel locale.
Lui aveva risolto un problema vitale, io me ne stavo creando uno ma all’epoca non sapevo nemmeno in che mondo fossi.

Eh sì, a vent’anni prima si agisce poi si riflette.

Nella mezz’ora successiva combinammo il passaggio di consegna dell’appartamento e dell’osteria. Già, perché l’uno era legato all’altra e se volevo il primo avrei dovuto prendere anche la seconda.
Del resto, il tipo li aveva entrambi in affitto e promise di metterci niente per convincere la proprietaria.
Perfetto.
Non c’era cosa più lontana dalla mia educazione che l’ambiente di un’osteria, ma forse proprio questo era il suo fascino in quel momento.
Una perfetta ribellione in un’epoca in cui anche i sassi si agitavano per cambiare il loro pezzo di mondo.
La sera stessa avvisai la mia ragazza che avevo trovato la “nuova” casa: ne fu davvero entusiasta e festeggiammo.
Solo qualche giorno dopo le parlai dell’intero carico, dolcemente non sapendo come l’avrebbe presa.
Incominciavo a capire d’essere stato incosciente ma sentivo in me un vago stuzzicante piacere.
In fondo avrei fatto un po’ di lavoretti di sistemazione alla buona. Con calma l’avrei reso un locale pulito, originale, sfizioso, insomma una bella trattoria di campagna. Cosa ci voleva? L’avrei fatto nel tempo libero: beata incoscienza
Certo, l’inconscio, di cui sapevo ancora poco, mi stava portando in una delle sue complicate soluzioni, di quelle che partono dalla fantasia e si confondono a tratti con la realtà.  Avrei dovuto essere più cauto, ma ero troppo curioso di vedere la fine dell’avventura e troppo incosciente per fermarmi e riflettere.
Cosa disse la mia ragazza non lo ricordo, ho totalmente rimosso le sue parole. So che parlò molto ma forse guardavo la sua bocca più che ascoltare le sue idee. Mi dispiace ma eravamo impegnati entrambi a sognare a voce alta.
Alla fine però mi seguì ad occhi chiusi con la fiducia che segna l’amore più ingenuo e cristallino dell’adolescenza.
Fantastico!
Passai momenti intensi, brutti e belli e tutti difficili da dimenticare.
Qualcuno disse che ero stato fortunato, può darsi. Io dico che vorrei riavere quel coraggio, quella forza che mi faceva vedere il progetto finito prima ancora di pensarlo, sorvolando con leggerezza sugli ostacoli. 
In ogni caso, quella si rivelò una delle più colorate favole del mio personale libro sull’incoscienza.

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