Lo sguardo

Lo sguardo
Quante volte vi sarà capitato di ubbidire allo sguardo di mamma o papà. Ad un semplice sguardo.

Uno sguardo di assenso, di comprensione, di plauso, d’affetto.
Uno sguardo che vi diceva senza parole che stavate facendo qualcosa di bello, che meritavate un premio, una coccola, un bacino.
O viceversa uno sguardo di rimprovero, di minaccia che vi ha fermato dal fare un’azione, o vi ha intimorito e vi ha ricordato di non riprovarci. Quante volte avete visto in quel tipo diverso di sguardo il pericolo di una punizione dolorosa, come la rabbia dello stesso genitore, un mancato regalo, una privazione.
Provate a ricordare, provate a ritrovare uno di quegli sguardi e a collocarlo in un contesto preciso, in un luogo conosciuto, tra persone che vibrano ancora dentro di voi.
Vi accorgerete forse che un’occhiata a volte ferisce più di un coltello o fa gioire più di una dichiarazione d’amore. 
Ma c’è qualcosa di ancora più importante: il nostro sguardo personale. Quello che parte da noi e si dirige su altri. Questo forse è più difficile da ricordare:  quante volte può essere capitato anche di  voler “parlare” voi stessi con uno sguardo.
Quante volte vi può essere capitato che qualcuno ha capito e tradotto in pensieri e intenzioni il vostro sguardo, anche senza che voi vi foste accorti di aver «parlato».

E magari è possibile che abbiate anche negato, non essendo stati coscienti di ciò che avete comunicato.
Vi ricorda qualcosa questa riflessione?
Lo sguardo non ubbidisce in tutti i casi alla propria volontà, anzi.

Spesso è l’espressione spontanea di emozioni che solo dopo, e non facilmente, si traducono in intenzioni o in veri e propri gesti.
Lo sguardo è figlio della fantasia, e di una fantasia inconscia, molto più che della realtà.

Ci penso mentre rileggo la registrazione di un colloquio in cui una giovane donna si arrabbia parlando del suo ex. Un ex tanto vivo da considerarlo ancora “in pista”, come dice con l’orgoglio di chi possiede un francobollo raro.
Ora ha un nuovo partner ma parla costantemente del suo ex.
Lo fa per inveire contro i suoi maledetti difetti che sembrano vestiti stracciati, appiccicati al suo corpo da sempre. Lo fa per esaltare le sue fantastiche qualità, talmente grandi che nessuno può scambiarle per vere. Lo fa per umiliare qualunque altro maschio le si presenti e la porti con sé. Compreso l’attuale ovviamente.
E che cosa dice essenzialmente del suo ex non ex?

Lo sguardoChe non ha mai sopportato il suo sguardo: seducente, giudicante, imperioso, falso, irresistibile, violento. Insomma: uno sguardo caldo ma di ghiaccio.
C’è la storia di un conflitto feroce nella descrizione di quello sguardo. C’è la storia di un tentativo di vivere contraddizioni troppo potenti per non lacerare anche una personalità forte.
Quello sguardo, che alla fine rappresenta la seduzione del padre e la castrazione della madre, è penetrato in lei attraverso migliaia di momenti, altalenanti tra la voglia di cedere alla pulsione amorosa e l’ubbidienza ad una regola che non ammetteva eccezioni. Ora non lo controlla più. Non lo conosce e non lo può dirigere, se non verso di me per chiedere aiuto.
Quello sguardo, somma di tanti sguardi interiorizzati, vola verso ogni uomo e verso ogni donna, a dispetto delle sue intenzioni coscienti, e conquista e respinge con la stessa velocità con cui essa stessa è stata conquistata e respinta migliaia di volte dalle persone più importanti della sua infanzia.
Le parole che le dico, come quelle che dicono tanti altri, sono aria che passa senza lasciare traccia; sono niente rispetto alla profondità degli sguardi che porta con sé;  che proietta e rivede nei mondi che la circondano.
Verba volant, dicevano i romani, sed oculi manent, possiamo aggiungere noi oggi, perché le parole possono anche passare, davvero, ma gli sguardi, quelli nostri e quelli degli altri, restano nella psyche per un tempo interminabile.

E soprattutto dicono la verità.

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