Scegliere l’amore: ma quanto è consapevole la scelta?
Nel mio studio di Bologna il letto in cui si sdraiano i pazienti è a due piazze, fatto apposta per favorire la libertà di movimento del corpo e qualunque tipo di associazione psichica con i vissuti infantili tra figli e genitori.
E’ appoggiato a una parete e su quel lato ci sono molti cuscini colorati, che il paziente può utilizzare secondo le sue esigenze e con tutta la creatività di cui dispone in quel momento.
Un giorno come altri su quel letto si è trovato un giovane uomo particolarmente sfiduciato, sul filo di una depressione che nessun osservatore esterno avrebbe mai potuto attribuirgli.
Di bell’aspetto, creativo, vasta cultura, molto sportivo, successo sul lavoro e ovviamente apprezzato dalle ragazze, che cambia con una certa facilità.
Si tormenta in modo ossessivo, e ringhia rabbiosamente come un cucciolo di cane che tiene un osso tra i denti e vuole strapparlo ad un rivale.
Abituato a vincere le sfide, su cui si getta spesso con grandissima energia, non sopporta di essere impotente verso la ragazza “più tutto” del mondo.
Quando ne parla non devo azzardarmi a dire che si tratta di un’idealizzazione: me lo fa capire molto prima che io pronunci quella parola.
Del resto ha un po’ ragione: la figura idealizzata non appartiene alla realtà, dunque non può essere toccata. E’ reale solo la sua incarnazione simbolica, ma di quella non vengono considerati gli aspetti negativi perché non fanno parte dell’ideale primario.
L’idealizzazione è un meccanismo di difesa usato, inconsciamente, per salvare l’amore verso la persona più importante.
Per esempio, mettiamo che un uomo abbia avuto una mamma adorabile per molti aspetti ma inaffidabile per altri. Una mamma buona, intelligente, creativa, attenta e premurosa, ma con una psicopatologia che sfocia in momenti di rabbia incontrollata. Per il bambino questa sarebbe una situazione molto difficile, o impossibile, da interiorizzare nella sua completezza. I due aspetti sarebbero così distanti e contraddittori da non poter essere amalgamati, quindi interiorizzati senza gravi danni per la psiche. Se quel bambino non trovasse i meccanismi di difesa efficaci per reggere la situazione il suo destino psichico sarebbe lo sdoppiamento della personalità: una parte seguirebbe la mamma positiva, diventando a sua volta molto buono, premuroso e accogliente, mentre una parte seguirebbe quella negativa, diventando egoista, cattivo e persino crudele.
Le due parti così separate mostrerebbero ognuna il massimo degli aspetti che le caratterizzano. Quella positiva non sarebbe attenuata da inevitabili momenti di negatività che sorgerebbero a contatto con l’ambiente, così quella negativa non subirebbe gli ostacoli di sensi di colpa e riflessioni positive.
Ognuna, allo stato puro, esprimerebbe il suo massimo potere, ma lo farebbe nella stessa persona e in momenti diversi.
Sarebbe la peggiore delle situazioni. Ovviamente variabile da persona a persona. Anche se non sappiamo ancora in che misura il soggetto sia cosciente delle due componenti di questo tipo di carattere, sappiamo che la sua vita di relazioni diventa estremamente difficile. Sappiamo inoltre che il suo atteggiamento è paradossalmente di difesa strenua del suo stato, in quanto unica soluzione capace di mantenerlo in vita, anche nell’estrema difficoltà.
Invece col meccanismo di difesa dell’idealizzazione, comunque variabile da soggetto a soggetto, la componente positiva della mamma viene salvata, goduta e trattenuta in una specie di limbo psichico. Qua può convivere con una parte negativa perché funziona una specie di “troppopieno”, un meccanismo automatico e inconscio che proietta “il troppo” su un oggetto esterno, ritenuto meritevole di questo fantastico investimento.
Specularmente “il troppo” della parte negativa viene proiettato all’esterno salvando così una sufficiente integrazione nella psiche.
L’uno e l’altro possono avere come obiettivi molte persone o preferibilmente una persona, a seconda delle occasioni che trovano.
Il soggetto di cui stiamo parlando ha inconsciamente preferito la proiezione del “troppo” positivo femminile su una ragazza. Tutte le altre sono rimaste investite dal suo bisogno di liberarsi del negativo. E infatti ne parla come di tante “sciacquette” o peggio “troiette”. C’è lei, l’inarrivabile, e ci sono le “sciacquette” che possono anche andar bene per qualche volta, non lo nega, ma sono due mondi divisi da un abisso.
Finché non accetta la spiegazione che ho appena illustrato, sul suo principale meccanismo di difesa attuale, il nostro soggetto non può sperimentare il piacere d’incontrare una o più ragazze di cui innamorarsi veramente e in modo duraturo.
Continuerà forse a dire che si è già stancato di cercare, che non esistono ragazze adatte a lui, che sarebbe molto contento se ne esistessero ma purtroppo non ha scelta.
Ma la scelta la fa l’inconscio in base ai bisogni primari irrisolti.
E se la scelta è quella di salvare il grande amore per la mamma, l’inconscio lo salva a costo di provocare danni collaterali. Il grande amore, messo in pericolo dalle immagini terrificanti che l’inconscio trattiene in memoria fin dall’infanzia, viene protetto dal meccanismo di difesa dell’idealizzazione. E’ questo meccanismo che tenacemente difende il simbolo di quel fantastico innamoramento infantile: la ragazza idealizzata.
In attesa che l’elaborazione del transfert, nel percorso della psicoterapia psicoanalitica, porti al beneficio della mediazione equilibrata tra l’immaginario e il reale.