“Buongiorno dottore, le ruberò pochissimo tempo. Sono venuta qua per liberarmi di un peso e basta. Ci metterò un attimo.”
Dovevamo ancora presentarci quando ha aperto le labbra ad un fiume di parole sciorinate alla rinfusa, proprio come chi deve scaricare materiale di scarto per passare subito alla prossima consegna.
Non sono intervenuto, non ho fatto domande per cercare di trovare l’ordine logico. A fine seduta sembrava sollevata e davanti alla porta mi ha solo chiesto un altro appuntamento.
Ci siamo visti diverse volte prima che capisse che il pochissimo tempo messo in preventivo quel primo giorno aveva bisogno d’essere dilatato.
La storia iniziale, depurata dalla barriera difensiva di un racconto troppo veloce e prolisso, era inusuale nella sua parte di passaggio alla realtà, ma facilmente inquadrabile dal punto di vista della teoria psicoanalitica.
Riprendo le sue prime parole cercando di metterle un po’ in ordine.
“io voglio un bene dell’anima a mio padre e non voglio che lo si metta in discussione in seguito a quello che le dirò.
L’ho perso due anni fa e da allora sono andata peggiorando. Sono sempre più sola, non ho voglia di vedere nessuno, penso che gli uomini siano tutti dei depravati e le donne delle serpi velenose.
Sono figlia unica, voglio bene anche a mia mamma ma questo è un capitolo diverso.
La prima annotazione che faccio è che parla al presente del suo sentimento, come se il padre fosse ancora vivo. Succede? Certo ma in analisi è bene mettere ogni tassello al suo posto se si vuole ricostruire una vita affettiva.
In questo caso dovrò verificare con lei quanto sia importante quel presente, quanto condizioni la sua vita reale.
La seconda annotazione è la sua previsione di essere giudicata per questo, tanto da minacciare l’analista, e per esteso tutto il mondo. Nessuno dovrà mettere in discussione la figura del padre.
Ci sarà da dipanare una matassa ben complicata se lei sente il bisogno di metterla al sicuro prima ancora di raccontare i fatti.
Nessuno in analisi si permetterà di giudicare ma quanto lei l’abbia già fatto e quanto stia male per questo, è tutto da scoprire.
Terza annotazione: “l’ho perso due anni fa”. Questo è un ritorno alla realtà, una realtà passata da due anni di cui però porta ancora i segni, e che segni!
Quarta annotazione: “da allora sono andata peggiorando”.
In che senso?
Vive la solitudine a causa della persona che non c’è più come se il padre, morendo, le avesse fatto un grave torto, apposta, come se fosse stato egoista, se non avesse pensato alla figlia.
Quella parola “peggiorando” sembra un destino, un impulso che non riesce a fermare. Sembra che nasconda un vantaggio secondario indicibile.
Ecco che cosa succede: entra in ballo un meccanismo di difesa, la proiezione, che le si ritorce contro. Non potendo resistere a trattenere la rabbia verso il padre la proietta
fuori da sé, verso tutti gli altri uomini.
Nella vita reale fa la prostituta “padrona” e si sente bene quando domina gli uomini, su loro richiesta, li punisce duramente e si compiace delle coccole successive.
Per gioco, precisa, perché solo per gioco può accettare questo rito proiettivo e può vedersi allo specchio nella veste di vendicatrice.
Certo viene da chiedersi che tipo di legame affettivo avesse stabilito con lei suo padre e si capisce perché avesse chiesto e preteso una promessa: di non giudicare.
Ma questa promessa è stata in seguito negata da lei stessa, per sua fortuna.
Un’altra annotazione riguarda il rapporto con le donne, definite: “tutte serpi velenose”. Tutte le altre o tutte? Perché anche lei è una donna, allora che succede?
Ecco la complessità dei conflitti della psiche: se arriva ad odiare tutte le donne odia anche se stessa e il problema si complica perché la sua avversaria ha i medesimi poteri che ha lei.
D’altronde lei per prima aggiunge che vuole bene anche alla mamma, ma “questo è un capitolo diverso”. E’ il momento in cui la mente cosciente si arrende: non c’è più logica ma solo confusione, solo impotenza e rabbia.
Una confusione che chiamiamo nevrosi e che possiamo affrontare usando soprattutto i mezzi che Freud ci ha lasciato per arrivare in quella zona buia della mente che è l’inconscio.
Quella che sola racchiude la storia dell’accumulo di molti dolori, di censure, di varie confusioni, di vari conflitti, di tanta impotenza e di rabbia inespressa.
Un attimo era il tempo che si era data la signora nel primo incontro.
Un attimo, come l’attesa della bambina piccola che vede nella mamma e nel papà i detentori dell’onnipotenza, della bacchetta magica che qualche volta prestano a qualche fata perché soddisfi il loro tesoro prima di dormire.
Beh, ogni tanto ho desiderato anch’io di risolvere il problema in un attimo, ho sperato anch’io di avere la bacchetta magica.
Poi però mi sono accorto che è molto più utile e più bello quando la persona ottiene i risultati facendo un passetto alla volta, magari con qualche improperio, inciampando e rialzandosi.
Quando ammette di avere avuto la forza di affrontare il proprio passato e di superarlo, almeno quanto basta per capire che quella forza è sua, non dell’analista e non della bacchetta magica.
E’ sua e potrà usarla ancora, a volte con l’aiuto dell’analista e a volte senza.