COVID19: DALL’EMERGENZA ALL’ADATTAMENTO

Le forme di emergenza non sono mai benevoli, lo sappiamo: succede qualcosa di tragico, all’improvviso, e bisogna adoprarsi in fretta e furia per risolvere la situazione.
Chi ha gestito e chi ha vissuto l’emergenza Covid 19 in occidente è passato dall’incredulità, a volte trasformata in spavalda e incosciente negazione, all’angoscia più profonda.
Due reazioni dalla radice uguale, entrambe figlie di una paura talmente forte da non trovare una reazione equilibrata.
Come scrissi all’epoca, il comportamento reattivo che poteva dare maggiori benefici era quello di rinforzare il proprio organismo, prendere le precauzioni suggerite e nutrire la psiche di tutto ciò che fa sorridere o ridere, che comunque procura piacere (amare, vedere film, fare arte, ascoltare musica, ballare eccetera).
Ma l’emergenza, per sua etimologia, è il momento in cui qualcosa emerge, sorge o scoppia: comunque è il primo tempo di un fatto sconvolgente e ha una durata breve.
Il suo contrario è la normalità, il ritorno al quotidiano, ai gesti conosciuti e consueti della vita familiare e sociale..
La notizia del Covid 19 è arrivata da lontano e prima di trasformarsi in emergenza concreta ha lasciato alle persone il tempo di trovare in se stesse i meccanismi psichici di difesa più adatti. Non tutti ci sono riusciti, è vero, i più ansiosi hanno dovuto affrontare un serio aumento della propria insicurezza con tentativi vani di farvi fronte.
Ma nella media la reazione è stata abbastanza buona e quando le autorità hanno decretato l’isolamento forzato, sono riusciti a concentrarsi sul termine “provvisorio”.
Provvisorio, proprio come se avessero chiesto di correre veloci per cento metri alla fine dei quali ci sarebbe stato il traguardo, la liberazione.
Perfetto, si poteva fare.
Ora guardate in che stato si trova un atleta dopo aver corso i 100 metri piani: è sfinito, non meno di chi abbia corso i 5000 metri piani. Il punto è che ha gettato tutte le sue energie in quel breve percorso senza pensare ad un seguito, e alla fine vorrebbe gettarsi a terra.
Immaginate ora che a 10 metri dall’arrivo gli dicessero di andare avanti ancora un po’, poi ancora un po’ e poi ancora e ancora con sempre solo la speranza, non la certezza, di arrivare.
Terribile.
Le persone si trovano ora in questa fase e non si sentono più in emergenza.
Anche se si è allargata la zona invasa dai virus, anche se i bollettini sanitari continuano a snocciolare i numeri impietosi dei contagi e delle vittime, anche se i megafoni dei media continuano a seminare paure con notizie contradditorie, moltee persone si stanno abituando, almeno in apparenza, e reagiscono come davanti al famoso pastore che si divertiva a gridare “al lupo” solo per attirare l’attenzione.
Cresce una sorta di scontata indifferenza, una difesa simile “all’isolamento dall’affetto” in cui le notizie passano come l’aria senza lasciare ferite.
Sempre in apparenza.
In realtà si rischia il cinismo perché l’inconscio non accetta di essere sovraccaricato di emozioni negative.
O si rischia la depressione, quando la persona rivolge contro se stessa la rabbia per gli eventi che non riesce a dominare.
In ogni caso, quelli che mantengono un buon equilibrio pensano che i loro simbolici 100 metri li hanno abbondantemente superati e adesso vorrebbero vedere la fine vera.
In un mondo in cui la tecnologia promette di avere tutto con un clic è molto stressante subire la lenta incertezza dettata da un virus che “sa” come trasformarsi continuamente per sopravvivere.
Ogni virus è un maestro di trasformazione e adattamento, anche quello che ha provocato Covid 19.
A questo punto siamo costretti a ri-diventarli anche noi esseri umani, anche se impigriti da decenni di comodità e di ricorsi ai farmaci.
Adesso sono di fronte, l’una contro l’altra, la nostra intelligenza e la sua esperienza.
Il virus ha fatto la prima mossa, non importa se aiutato o no da un umano distratto o criminale, adesso però noi dobbiamo reagire con intelligenza e pazienza.
Intanto sarebbe bene che le persone che all’inizio hanno cercato di convincersi che sarebbe durato poco, prendessero atto della realtà e chiedessero aiuto un po’ prima di accorgersi di averne bisogno, perché dopo diventa tutto più difficile.
Stiamo parlando di emozioni, siamo quindi nel campo della psiche.
Come si fa?
Primo, si passa dalla mentalità del soccorso a quella della prevenzione e ci si rivolge allo psicoterapeuta per una semplice psicodiagnosi. E’ fatta apposta per darci un quadro della situazione psico-affettiva.
Secondo, si rinnovano costantemente le precauzioni psicologiche di cui ho scritto all’inizio, quelle che distraggono e procurano piacere.
Ovviamente si accettano come corrette e usuali le norme di prevenzione igienica e si cerca il lato positivo delle comunicazioni a distanza.
Questa è una parte davvero difficile ma va fatta.
Infine si cambia programma: niente più preparazione ai simbolici cento metri piani ma ad una maratona di qualche chilometro, non si sa bene quanti. Una maratona in cui sarebbe utile fare attenzione a dove si mettono i piedi e dannoso pensare continuamente al traguardo finale.

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