“Non puoi sfilare in un corteo, vero o immaginario, con in mano la bandiera della pace e sulle labbra parole di vendetta verso chi usa violenza: è un paradosso”.
Il tema, quella mattina alla Scuola, era scivolato su: “la violenza alle donne”.
Comprendo i sentimenti di rabbia di chi subisce violenza e posso anche comprendere il desiderio di farsi giustizia con altrettanta violenza: è la reazione più istintiva, l’antica legge del taglione tipica delle società più primitive.
Comprendo, perché sono nato in un’epoca di violenza sociale estrema: prima la guerra totale contro nemici esterni, quella che uccide chiunque solo perché è vivo, e ha il difetto di abitare in un’altra nazione.
Subito dopo la guerra fratricida, l’odio cieco di chi non dimentica un torto, e può fucilarti alla vigliacca, venendoti a chiamare a casa mentre ceni in famiglia, quella che ti fa sospettare di tutti, anche degli amici.
Qualcuno ha vissuto una guerra e le sue conseguenze?
Una sensazione pessima e mille ricordi da voler dimenticare.
E gli anni di piombo? Una quisquiglia al confronto, ma sempre un misto di emozioni esaltanti e di chimere, vissute nel cuore del movimento, troppo spesso precipitate in aggressioni sanguinose e balorde e scemate nella delusione.
Dunque comprendo, anche se non sono mai stato ferito o ucciso fisicamente.
Ma quando ascolto i racconti di violenze subite, e credetemi ne ho ascoltate davvero troppe, entro subito in contatto con le emozioni fortissime che vi sono collegate.
E nonostante senta il dolore, l’impotenza, la rabbia e la delusione che mi tormentano, non riesco a condividere il principio che porterebbe alla vendetta.
Premesso che non mi ritengo capace di fare fisicamente male a qualcuno, se non per difesa, e premesso che attuare una vendetta non farebbe che innescare una catena senza fine, resterebbe solo il pensiero.
Ma non posso accettare di vivere col desiderio di vendicarmi di fatti che hanno lasciato una ferita ormai indelebile.
La fantasia e il desiderio di vendetta non hanno mai cancellato la violenza subita.
Creano nel violentato sensi di colpa diversi da quelli del violentatore.
E basta: tristissimo.
“Ma tu non puoi capire la violenza sulla donna perché sei un uomo”.
E’ un’allieva della scuola di specializzazione che contesta la mia posizione.
“Questo è vero, lo ammetto, come tu non puoi capire i sentimenti che prova un uomo vittima di diversa violenza. Tanto che per te gli uomini sono sempre i carnefici, in un mondo dove l’unico rapporto valido è quello sessuale”.
Ora, pur ritenendo il rapporto sessuale un elemento importantissimo nella vita delle persone, io penso che nessuno, uomo o donna che sia, dovrebbe accettare l’idea che solo la violenza sulle donne sia da chiamare violenza.
E non voglio qui toccare argomenti di carattere psichico perché spesso vengono utilizzati in modo sbagliato. Ma non vanno dimenticati da chi lavora sulla psiche.
Restando sul sociale, dico che non dovrebbe esserci una categoria di persone che si stacca dal resto della popolazione e vuole lottare da sola per un tema che interessa tutti.
E’ come pretendere di guarire un sintomo senza attaccare la causa.
A questo punto la discussione s’infiamma e rischia di restare imprigionata tra maschile e femminile, anziché tra violenza e pace.
Allora ribadisco l’idea che la violenza ha mille facce, ma tutte ugualmente mostruose.
E’ violenza quella di certi padri e di certe madri sui figli, è violenza quella che gli stessi figli e figlie riproducono su altri bambini
E’ violenza quella che quei figli e figlie, divenuti adulti, spargono intorno a se stessi e trasformano in calunnie capaci di rovinare una persona, in “mobbing”, in razzismo, in delitti, in crimini mafiosi, in terrorismo, in guerre forse “intelligenti” ma soprattutto stupide e tragiche.
Quello che non voglio è che sia tolta l’attenzione ad uno solo di questi aspetti e ai tanti altri che ognuno di noi conosce.
Non alla violenza sulle donne, assolutamente d’accordo, è un fenomeno orrendo che si diffonde sempre di più, complice la repressione sessuale di cui parleremo ancora.
Ma neanche a tutti gli altri delitti che i prepotenti e i vigliacchi di ogni genere e razza continuano a perpetrare sui più deboli.
Perciò, cara ragazza che non vuoi la violenza, prendi la tua bandiera della pace e sfila insieme a noi ogni giorno, in un immaginario corteo di persone che vogliono vivere di rispetto, di affetto e magari d’amore.
“Senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche e condizioni personali e sociali”.
Come recita la nostra Costituzione e soprattutto il buon senso che mi auguro piaccia anche a te.