Prendiamo come spunto un articoletto pubblicato ultimamente, tramite un noto quotidiano, dal titolo “L’anoressia si cura con l’ormone dell’amore”.
Innanzitutto si pone la fatidica domanda: sono le emozioni e i sentimenti che avviano una produzione ormonale oppure è la chimica che muove il cervello da cui poi nascono sentimenti e azioni?
E’ vero che se il cervello si ferma nessun sentimento può più essere espresso, ma è anche vero che le emozioni e i sentimenti che caratterizzano le relazioni incidono sull’attività del cervello, provocano diverse pulsioni emotive e differenti reazioni chimiche, le quali poi muovono ulteriori espressioni corporee. Sembra una catena circolare, dunque è logico accettare che siano vere entrambe le ipotesi anche se molti neurologi optano per il primato della chimica.
Ora non voglio addentrarmi sul tema della psiche come elemento che potrebbe esistere in qualche modo oltre la vita corporea. Mi attengo per prudenza a ciò che vedo quando devo ragionare a favore dei pazienti, mentre mi permetto di spaziare nelle molte altre ipotesi possibili durante i momenti di relax, quando la fantasia è libera di uscire dai recinti della logica e godersi l’infinito.
Davanti ad una persona che sta male, come sta male una paziente anoressica, serve sapere come aiutarla il più presto possibile.
Quindi quello che osservo subito è che viene usata la parola “amore” riferita ad un ormone.
L’ossitocina, questo il vero nome dell’ormone, è stata al centro delle attenzioni dei ricercatori dell’Università di Seul, che sembrano convinti di avere buone possibilità di risolvere con questa il grave disturbo dell’anoressia.
Infatti, l’ossitocina è così chiamata perché generalmente viene rilasciata durante il sesso, ma viene prodotta anche durante il parto e l’allattamento al seno.
Secondo lo studio, questo ormone avrebbe la precisa funzione di alterare la tendenza all’anoressia perché dà preferenza di scelta ai cibi ipercalorici e alle forme del corpo più tonde.
Per arrivare a tali conclusioni, gli scienziati hanno mostrato a un gruppo di ragazze sofferenti di anoressia immagini di cibo e grasso corporeo che inizialmente disprezzavano.
Ebbene, dopo essere state sottoposte all’inalazione di uno spray contenente ossitocina, ne rimanevano sicuramente meno disgustate.
Altri due studi, ma solo due finora, sono arrivati a conclusioni simili e io mi auguro che presto si arrivi a trovare anche l’ormone che interviene a curare la bulimia e gli altri disturbi alimentari.
Ma seguendo la premessa che abbiamo fatto a proposito delle emozioni, abbiamo l’obbligo di ragionare anche sulle cause affettive che sono alla base dei disturbi alimentari.
L’anoressia è un gesto prolungato e autodistruttivo di profondo rancore verso la persona più amata dall’inizio della vita: la mamma
Per estensione verso ciò che la rappresenta: il cibo.
Sottolineo: prolungato e autodistruttivo.
Iniettare l’ormone dell’amore ad una persona invasa dal sentimento dell’odio sarà sicuramente efficace dal punto di vista della chimica, non posso discuterlo, ma se non viene cambiata la causa affettiva, cioè la componente di relazione amorosa con la mamma che rappresenta il cibo, lasciatemi pensare che quell’efficacia non duri molto. Sarebbe come mettere una pezza su un vestito ormai completamente liso. Non basterebbe, andrebbe ricostruito tutto oppure si dovrebbero mettere pezze all’infinito.
La figlia adolescente con problemi legati al cibo ha la rabbia che precede la sensazione di essere abbandonata a se stessa, senza amore…
Abbandonata, magari dopo esagerate promesse di amore infinito, sulla soglia di una vita che non capisce ancora e che non vuole. Datele pure l’ossitocina, aggiungetele pure una qualche forma di psicoterapia comportamentale, sistemica, cognitiva, insomma aggiungete pure sostegni psicologici ugualmente centrati sul sintomo. Andrà forse bene tutto, ma non dimenticate mai che l’amore genitoriale è un sentimento che si forma su una rete infinita di segnali che devono esprimere accettazione, dedizione, nutrimento, difesa, guida. Una serie infinita di emozioni, pensieri, gesti, toni, energia che va dalla mamma e dal papà verso i figli, in tutto il corso della loro crescita.
Beh, non so se sono davvero obiettivo in questo caso. Ammetto d’intervenire su questo argomento con un certo fastidio, ma quasi obbligato dalla diffusione eccessiva di notizie contradditorie e molto parziali scritte sui media negli ultimi tempi. Il fastidio è dato dal mio amore per il cibo, che ricerco per la sua bontà molto più che per la sua abbondanza, e dalla speranza che tutti lo apprezzino prima e dopo averlo gustato.
La passione per il “buon” cibo, buono sia al palato che per la salute, e l’amore per le “belle” persone, belle per gli occhi e soprattutto piacevoli di carattere, sono due pilastri della vita a cui sono affezionato.
E forse è stato proprio per questo che ho scelto di fare una professione che “aggiusta” le distorsioni caratteriali che incidono sui vari comportamenti, anche su quello alimentare e su quello relazionale.
Fastidio personale a parte però, ho sempre cercato di seguire una linea soprattutto affettiva, amorevole, nell’affrontare la rabbia feroce della persona che rifiuta il cibo, mostrando il suo deperimento fisico proprio a chi le vuole bene, proprio a chi prova la gioia più grande nel nutrirla. Quella è la persona che può soffrire di più, che può sentirsi veramente in colpa nel vedere il fallimento del suo ruolo.
La rabbia dell’anoressica è una rabbia molto antica quindi radicata, tenace, istintuale, persino crudele verso la madre.
Per questo la cura deve coinvolgere la psiche nella sua parte più profonda
e deve utilizzare la forza d’amore dello psicoanalista verso la paziente.
Quasi come farebbe una vera madre ovviamente equilibrata: con pazienza, con attenzione, con passione, con la certezza che il sentimento più desiderato dalla paziente non sia l’odio ma l’amore. La paziente anoressica è arrabbiata perché non le viene dato l’amore, esprime rabbia perché non riesce più a chiedere, pretende perché quella è l’ultima strada per ottenere, secondo la sua esperienza.
L0 psicoanalista lo sa perché conosce bene la formazione dei sentimenti e le difese che utilizza la psiche, lo sa e propone un modello diverso di relazione attraverso il transfert e la sua eleborazione
alfredo rapaggi