I fantasmi della perdita e il piacere della conquista

Mentre sui media crollava la simbolica statua di Trump in America, la trasmissione di Gramellini, sulla tre, mostrava in modo impietoso due quadri di Napoleone.
Entrambi lo ricordavano mentre attraversava le Alpi per iniziare la sua conquista dell’Europa.
Nel primo, celebrativo e molto noto, spiccano il braccio teso di chi comanda l’attacco, il bellissimo cavallo bianco,  e il mantello rosso che il vento della fortuna spinge in avanti e in alto, come ad indicare l’inevitabile vittoria.
Nel secondo, che si dice realistico, il futuro imperatore cavalca una mula marrone, ha una divisa incolore, è palesemente infreddolito, si copre lo stomaco dolorante con la mano destra, ha la testa curva e l’aria di chi prega che quella terribile traversata finisca presto.
Furbescamente, Napoleone volle fare quel viaggio tre giorni dopo che l’avevano fatto i suoi soldati.
Era importante che lo immaginassero come nel primo quadro: già vincitore. L’avessero visto malconcio, com’era stato nella realtà, non l’avrebbero mai seguito.
Tema: la differenza tra fantasia inconscia e realtà.
Una fantasia portata nell’inconscio può facilmente trasformarsi in fantasmi che danno l’illusione di essere veri. E’ così che può provocare effetti molto deleteri sulla psiche.
La fantasia è un processo abbastanza complicato che Freud vede nascere da desideri e sogni coscienti, come piacevole complemento di azioni inizialmente positive.
Quando però il loro contenuto diventa inaccettabile per la coscienza vengono spinte nell’inconscio.
E’ allora che diventano fantasmi in cui il soggetto, protagonista come in uno psicodramma, può utilizzare tutti i meccanismi difensivi necessari  all’illusorio appagamento dei desideri primari, repressi in precedenza.
L’appagamento illusorio è talmente potente da superare spesso il piacere della sua stessa realizzazione.
Questo è il principale problema.
E’ il principio che spiega il sempre più vasto mondo delle manipolazioni e delle truffe: di quelle amorose, di quelle socio- politiche, di quelle commerciali.
La truffa si basa sul fatto che la sua vittima (elettore, cliente o innamorato/a) preferisce l’illusione alla realtà.
Piuttosto che osservare i fatti reali e cercare di cambiarli, preferisce sperare, sperare, sperare e illudersi che magicamente i sogni si realizzino.
Come in una favola.
In misura contenuta tutti possediamo questa capacità e facciamo bene a difenderla. In misura contenuta il sogno può essere il preludio necessario di un obiettivo raggiungibile. Dunque è bello e positivo. Potremmo anche notare che le favole raccontate ai bambini spesso coltivano questo meccanismo di difesa e a volte i genitori lo usano per nascondere un po’ dei loro inconsapevoli errori.
In misura esagerata, cioè quando il contenuto del sogno è stato ritenuto inaccettabile dalla coscienza e viene mandato nell’inconscio, diventa un tormento che cerca continuamente di tornare in superfice, proprio come un fantasma tenterebbe di tornare ad avere un corpo vivente.
Dunque il potenziale “truffato” vive di speranza, per la precisione della speranza di avere, in modo magico e simbolico e dilatato, quello che la vita gli ha solo promesso, nell’infanzia.
Se la privazione è stata ripetutamente traumatica la speranza si unisce alla fantasia di onnipotenza tipica del neonato, quella che nella simbiosi confonde se stesso con la potentissima madre. Allora si tramuta in delirio e la fantasia in fantasmi.
Ma che dire del truffatore, è il rovescio della stessa medaglia o c’è qualche elemento che lo contraddistingue?
In termini psicoanalitici, bisogna stabilire quanto la sua fantasia di onnipotenza abbia superato la fase orale e  quanto sia entrata nella successiva fase anale.
La fase in cui il controllo si fa più importante e spicca il bisogno di trattenere, di dominare, di scongiurare con la propria rabbia il pericolo di perdita.
Ci sono due modi per avere sempre il grande oggetto d’amore: saperlo conquistare ogni volta che lo si vuole, oppure imprigionarlo e non lasciarselo scappare.
Il meglio sarebbe saperli usare entrambi ma prima o poi uno dei due diventa dominante.
Lascio a chi legge il piacere di stabilire che cosa abbiano usato di più Napoleone e Trump. Un paragone improponibile per la storia ma assolutamente logico per la psicoanalisi.
In ogni caso un paragone che ci serve da specchio se vogliamo esplorare una parte della nostra personalità, probabilmente ancora in ombra ai nostri occhi.

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