Sentimenti e parole di fine analisi

Oggi do la parola al paziente e lascio che sia lui, con una lettera a sua mamma, a trasmettere le sensazioni e le conoscenze che caratterizzano un buon percorso psicoanalitico. Immagini, racconti ed emozioni che si distinguono da una semplice constatazione razionale.
Senza altri commenti.

 

Cara mamma,
tu non puoi più saperlo ma ti ho scritto così alcune volte nella mia vita. Le lettere non le hai mai lette perché ho sempre finito per tenerle nel cassetto: le sentivo ogni volta troppo astiose e troppo in contrasto col mio amore per te. Non capivo bene i miei conflitti, ma mi giustificavo dicendo che eri tu che non le avresti capite.
Oggi so che la mia era una resistenza. Ma siamo sinceri in due se possibile, ammetti che tu avevi quella tua fantastica difesa, profondamente radicata, quasi schizoide in apparenza, che ti permetteva di ricevere ogni tipo di notizia commentandola con un generico “mbè mbè”…  Sembrava che dicessi di non disturbarti, che la vita l’aveva già fatto abbastanza.
Forse allora io ero alleato di quella tua resistenza, almeno l’accettavo e mi ci nascondevo.
La psicoanalisi mi ha insegnato a guardare ciò che posso migliorare di me stesso piuttosto di perdermi in quello che gli altri hanno combinato sul mio caratttere.
Fatto sta che nel momento stesso in cui immaginavo che leggessi la mia lettera, quella che il mio inconscio mi aveva dettato per ferirti, vedevo la tua espressione e rinunciavo a dartela.
Ora posso consegnartela tranquillamente, anche se non è più la stessa.
Adesso ho l’idea di potermi permettere quasi tutto. Adesso che so come togliere lo spesso velo che copre il mio inconscio, che non credo più nel tuo delirante paradiso, nelle tue fantasie di vivere una vita meravigliosa solo fuori dalla vita reale, nascondendoti le persone che hai davanti e i loro sentimenti.
Adesso, dopo che ti ho vista implorarmi un abbraccio che ti tenesse in vita ancora un po’ mentre stavi perdendo l’ultimo respiro, ho una prova ulteriore delle tue assenze e delle tue inconsce maschere.
Mi dispiace moltissimo.
Ho visto il terrore nei tuoi occhi quella sera, e mi sono spaventato anch’io di quello sguardo: dal tuo letto con le sponde, come quello di una neonata, vedevi la morte, non la vita eterna in quel momento, non potevi più mentire, non riuscivi più a raccontare illusioni, non ne avevi più la forza. In un istante mi hai mostrato il film della tua vera vita.
Ho visto la fragilità che hai sempre nascosto e la tenerezza che prima avevo solo sospettato.  Ho capito, credo di averti finalmente capito. E credo di poter gestire meglio la mia amarezza.
Adesso posso dirti tutto perché son certo di rivolgermi a ciò che è rimasto in me della tua immagine e del tanto che mi avevi trasmesso, non ad un’improbabile anima del purgatorio o del paradiso.
Cara mamma. La notizia più importante che mi hai dato ha riguardato la mia nascita. Mi hai detto tre cose quando sono diventato grande, secondo te.
Della prima notizia avrei dovuto essere orgoglioso: che la mia nascita ha avuto il compito di consolarti della perdita del tuo amatissimo eroico fratello maggiore.
La seconda a mi pare più grave, anche se me l’hai presentata con la tua impassibille flemma. Hai detto che io sono improvvisamente comparso nel tuo utero subito dopo l’aborto fatto proprio in seguito al grave lutto, che sei rimasta incinta contro la tua volontà e solo per il potente (o violento?) gesto di tuo marito.
La terza ti caratterizza davvero: che sono stato un regalo di Dio e che per questo lo hai sempre ringraziato.
Rimuovo deliberatamente le prime due, per ora, e resto un attimo sulla terza notizia.
Che dire, felice di esserti stato utile, però avrei voluto essere ringraziato anch’io, che pur non essendo un dio ho fatto di tutto per vederti sorridere, ma su questa terra.
Eh si, a volte c’eri e non c’eri e io ho anche invidiato quella tua quasi beata assenza.
Adesso non più, forse perché  mi tornano alla mente altre situazioni. Sono quelle che non ho potuto cancellare nel mio percorso psicoanalitico: non rappresentano più delle tragedie ma devo dirtele perché penso che tu non ti sia accorta di niente, non ne sia stata cosciente.
Per esempio. Da ragazzo accettavo che la dada mi chiamasse con quello stupidissimo nome che mi aveva affibbiato da piccolo. Era molto offensivo per me ma tu ridevi con lei e ogni volta che ti capitava raccontavi ai parenti com’era la storia di quel nomignolo. Io mi nascondevo dalla rabbia ma lo accettavo pur di vederti contenta insieme agli altri. Buffo.
Non te ne sei mai accorta e non mi meraviglio.
Un altro esempio lo prendo dalla mia vita adulta, quando tu ormai avresti dovuto contare molto meno. Si tratta di un episodio che mi ha ferito moltissimo, anzi che rappresenta bene  il tipo di ferite che mi hai procurato. Ecco, ho sognato che saresti venuta almeno alla mia festa di laurea e magari che saresti stata orgogliosa di me, tuo figlio, come lo eri stata di tuo fratello. Un desiderio normale per molti ragazzi, ma un delirio per me.
D’accordo che non c’era proporzione tra quello che aveva ottenuto lui e quello che avevo fatto io, però scusa, a pensarci anche la mia era una piccola impresa visti i tempi e le condizioni che avevo dovuto affrontare. E tu che hai sdrammatizzato con il tuo solito “mbé mbé, sono solo sciocchezze”.
Cara  mamma, mi hai spiegato il perché hai voluto che nascessi ma non hai capito che questo riguardava soltanto le tue esigenze. Ora io vorrei sapere se ti sei mai chiesta che cosa avrei fatto, e che cosa stavo facendo, della vita che avevi involontariamente preparato per me. Dicevi che sono stato un regalo di Dio ma quel regalo tu non l’hai mai aperto. Forse l’hai scartato ma in un altro senso. Tu non hai mai saputo che regalo fosse esattamente, non te ne sei interessata
E questa non è stata affatto una sciocchezza per me. Prima e durante l’analisi ho pianto d’impotenza e mi sono arrabbiato non sai quante volte.
Adesso provo a descrivertelo io quel regalo, adesso che forse lo conosco piuttosto bene. E visto che sei convinta d’essere andata in paradiso, avrai tutto il tempo per ascoltarmi.
Credo che quell’incarico che mi hai inconsciamente dato alla nascita mi sia rimasto impresso come un timbro indelebile. D’altronde tu hai pensato bene di rinnovarlo continuamente dandomi come esempio da seguire la fulgida carriera dello zio tale e del cugino tal altro. A proposito, quando sono andato a trovare il cugino, nel suo fantastico ritiro dorato e sacro ho visto un uomo infelice, depresso, senza prospettive. E ti faccio notare che all’epoca lui aveva meno di quarant’anni. Non te l’ho mai riferito perché ci saresti rimasta male, avrei scalfito le tue convinzioni religiose e forse ti avrei tolto il sorriso.. Come dicevi? Solo i sacerdoti sono uomini felici perché non sono di questo mondo. Evviva.  Eppure, anche averlo visto da vicino e scontento di esistere ha inciso nella mia decisione di non seguire i tuoi consigli di vita.
Da un lato mi spiace perché forse ho perso l’occasione di avere una prova del tuo amore materno, sotto forma di riconoscenza. So che mi avresti mostrato con orgoglio al parentado e in parrocchia: un altro della famiglia da mettere in cornice. Invece, “mbé mbé” porta pazienza ma non mi sono fidato di te e ho scelto la strada della libertà.
Dunque il destino che mi avevi consegnato era di quello di consolatore, sostegno, aiuto praticamente indispensabile. Ti eri proprio convinta che io potessi essere solo quello, solo come mi avevi forgiato all’inizio, perciò in fin di vita continuavi disperatamente a cercare il mio abbraccio e non quello degli altri.
Io non capii allora le mie resistenze, il mio corpo che si allontanava invece di avvicinarsi, le lacrime che si fermavano sugli occhi, la voce strozzata e imprigionata in gola e la paralisi delle mie braccia. In fondo avrei dovuto essere contento che finalmente volessi abbracciarmi. L’ho capito più tardi e adesso mi è proprio chiaro: non era un’offerta la tua ma un’ulteriore  richiesta. Speravi inconsciamente che io avessi l’onnipotere di ridarti la vita come avevo fatto nascendo. Anzi, per un attimo ho pensato che avresti addirittura accettato lo scambio: la mia vita per la tua. Ma ammetto che è stato un pensiero intollerabile, anche se tu l’avessi fatto inconsciamente non potrei accettarlo.
Ho capito chiaramente che all’epoca della mia nascita tu mi avevi utilizzato per uscire dalla tua depressione e che non te lo sei mai dimenticato.
Ma tra la depressione e la morte c’è una differenza sostanziale, fisiologica. Chi è depresso dice di voler morire ma intanto vive e semmai fa morire, almeno psicologicamente, chi gli sta vicino.
Cara mamma, una cosa che ho imparato in psicoanalisi è quella di entrare ed uscire dalle mie emozioni senza restarne intrappolato. Viverle profondamente, rivedendo le scene che le hanno provocate, potendo distinguere le positive dalle negative. Entrare e uscire liberamente dall’inconscio cercando di portarmi dietro solo quello che mi fa star bene. Perciò voglio dirti un’ultima cosa, e te la dico sapendo che sei dentro di me, ovunque tu abbia pensato di andare dopo la tua morte: ricordo anche momenti belli, quelli che molte altre volte ti ho elencato e che custodisco gelosamente.
Quando mi viziavi facendomi i piatti più buoni e complicati perché guarissi dal morbillo. Poi ti giustificavi dicendo che te l’aveva consigliato il dottore ma io so che non è vero. Me l’ha svelato mia sorella, molto gelosa della tua attenzione per me.
Quando mi ascoltavi, bene o  male ma con tanta pazienza. Quando non approvavi il mio comportamento ma non lo giudicavi e rispettavi le mie decisioni.
Quando, più piccolo, mi hai tenuto vicino permettendomi di godere del tuo profumo e della tua morbidezza. D’accordo che è successo molto raramente, ricordo solo due momenti, però questi sono stati stupendi e mi servono ancora oggi per esprimerti il mio sentimento più positivo: ti amo moltissimo. Te lo dico di getto e col cuore. Ti ringrazio per avermi dato la possibilità di conoscere l’amore più profondo che posso provare per la donna.
Ti sembrerà strano che possa esprimermi così avendo solo questi pochi ricordi, sembrava strano anche a me prima di fare analisi. Adesso so che ognuno conserva in sé ciò che gli serve per amare e per vivere bene. So che il rancore copre spesso la riconoscenza e l’odio oscura l’amore.
So anche che ognuno di noi può ricercare pazientemente le sue parti migliori e può trasmetterle come una musica, o un profumo, un colore o una parola, senza confini di spazio e di tempo.
Adesso so che posso dare una parte della mia vita alla donna che mi amerà perché gli piaccio. E possibilmente solo per questo.
E so che posso darne altre parti alle persone che ne hanno bisogno.

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