“Non capisco perché devo aver paura di perdere proprio la persona che più mi ama, perché devo essere così geloso proprio di lei: è assurdo”
Superficialmente sarebbe facile spiegare che più si ama una persona più si ha paura di perderla, proprio come chi possiede dei beni: più ne ha e più ha paura dei ladri.
Ma i conti non tornano se la persona che si ha paura di perdere non è tanto quella che più è amata ma quella che più ama. Questo sembra davvero assurdo.
Infatti.
La psicoanalisi ci spiega che ogni volta che l’inconscio e la coscienza vanno in direzioni diverse, e succede spesso, la sensazione è che si cada nell’assurdo. Infatti la parte cosciente di noi non può riconoscere emozioni, sentimenti ed ogni altro componente della vita che abbiamo dovuto rimuovere e depositare nell’inconscio, quindi lo ritiene illogico, fuori dalla portata del pensiero, insomma assurdo.
E’ la complicazione degli esseri umani, i quali non si accontentano dell’evidenza come fanno gli animali, ma sono spinti a speculare su altre possibilità di significato di ogni azione, vivono nell’ansia che un’altra forza li spinga in direzioni sconosciute e pericolose e usano in automatico meccanismi nati per difenderli e trasformati in armi autodistruttive.
Nel regno animale le cose spesso sono molto più semplici.
Prendiamo i passeri per esempio.
Uno studio pubblicato di recente su “The American Naturalist” a cura di Julia Schoeder, e durato ben 12 anni sull’Isola di Lundy, ha dimostrato che i passeri maschi si accorgono se la loro compagna non è fedele e la puniscono fornendo meno cibo a tutto il nido. Lo stesso studio non dice che cosa fanno le passere se il loro compagno non è fedele, ma forse le passere non hanno ancora fatto la rivoluzione femminista!
In verità sembra che i maschi siano impegnati a garantirsi il maggior numero di passerotti, insomma la famiglia più numerosa sarebbe il loro vanto, mentre le femmine sono attente a cercare costantemente i maschi più adatti a rinforzare la specie. E pare che le scappatelle le facciano quando i loro maschi si mostrano un po’ disattenti alle loro esigenze.
Più o meno la stessa cosa succede anche tra gli esseri umani e sarebbe accettata con altrettanta linearità se non ci fosse di mezzo l’inconscio. Ma quello c’è eccome, ed è ingombrante.
E allora ecco i paradossi. Il primo si manifesta quando l’inconscio viene trattato come se contenesse materiale noto al soggetto. Frasi del tipo “si lo so che questo è inconscio” sono paradossi psicologici perché “se lo sai non può esserti sconosciuto, e se è inconscio non lo puoi conoscere”. Ma sono frasi che sentiamo continuamente nelle sedute di psicoanalisi. Frasi che, come ogni paradosso psicologico, creano la confusione tipica di chi si sente tirato contemporaneamente da due forze opposte e soffre per la sua impotenza.
Il secondo è nell’equivoco tra paura e ansia. “Ho paura di perdere la persona” può dirlo chi sa che la persona ha motivi reali di andare via, o sta per farlo. Nel caso che stiamo esaminando i motivi sono così lontani dalla realtà da far dire alla stessa persona che è assurdo il suo solo pensiero.
Se invece di poter addurre motivi reali ci si riferisce ad una sensazione, ad un timore di cui non si conoscono bene i termini allora la parola giusta è “ansia”. E non pare che esista nei passeri.
L’ansia è una previsione negativa che ha radici nelle fantasie inconsce d’abbandono e di pericolo e che nell’emergere si aggancia a pensieri, persone e fatti riconoscibili dalla coscienza.
Perché poi, il soggetto da cui siamo partiti pensi che proprio la persona che più gli è legata, e da cui è più amato, dovrebbe abbandonarla, beh questo è effettivamente un pensiero che va contro la logica della coscienza.
Contro la logica del pensiero cosciente ma non contro quello dell’inconscio.
Possiamo considerare quattro ipotesi, partendo dalla constatazione che l’inconscio è un bacino di emozioni dovute a situazioni irrisolte (eccessive, proibite, troppo difficili per una certa età, irrealizzabili) e punta istintivamente a raggiungere il suo obiettivo nel tempo più breve.
Prima ipotesi
Se l’emozione fosse nata da un arcaico abbandono o da una persistente minaccia d’abbandono l’ansia sarebbe un illusorio palliativo, il male minore. Sarebbe un segnale di allerta che tenterebbe di prevenire l’angoscia per un reale abbandono. La realtà non è tenuta in alcuna considerazione in questa ipotesi, anzi in un caso di questo genere il/la paziente si ribellerebbe al tentativo dello psicoanalista di spiegare la realtà, potrebbe anche diventare aggressiva per la “paura” che le vengano tolti i suoi abituali meccanismi di difesa. Si fiderebbe di più dei meccanismi di difesa usati da sempre, anche avendo ben presente che quei meccanismi non l’hanno salvata dallo star male. Per il semplice fatto che sono i più conosciuti.
Seconda ipotesi
Mettiamo che l’angoscia di essere abbandonata derivi o da un reale e reiterato abbandono di qualunque tipo. L’abbandono reale è stato facilmente subito ad opera della madre nell’epoca in cui il soggetto non aveva sufficienti strumenti psicologici per elaborare quella situazione, come anche le successive (molto difficile che si possa trattare di un solo episodio). L’iniziale momento angoscioso viene poi ingigantito dalla fantasia che quanto successo una, due, tre o più volte possa ripetersi all’infinito, anche quando il soggetto, divenuto adulto. sarebbe capace di difendersi realmente. Il ripetersi dei momenti angosciosi mette in funzione lo stato di allarme che può diventare permanente.
Terza ipotesi
L’ansia può essere trasmessa dalla madre senza una ragione specifica, semplicemente perché lei stessa ne soffre in modo permanente. In questo caso la madre suggerisce involontariamente di non essere in grado di fronteggiare ignoti e immaginari pericoli dell’ambiente e invita il figlio, in modo altrettanto involontario e inspiegabile, a restare in perenne allerta.
Quarta ipotesi
L’angoscia può essere confermata dall’inadeguatezza del padre a difendere la sua famiglia, dalla sua stessa aggressività (palese o mascherata). In questo caso il figlio e la figlia sono costretti a restare in costante allerta per sopperire all’inettitudine del padre o addirittura per doversi difendere da lui quando non ne hanno ancora gli strumenti.
Allo stesso modo l’ansia può derivare o essere aggravata dalla presenza di un fratello/sorella o altro familiare aggressivo, che mette in atto minacce continue e di diversa gravità, senza che i genitori intervengano a difendere il più debole. Una sorta di bullismo familiare, molto più frequente e grave di quanto non si pensi.
Quinta ipotesi
La contraddizione tra la pulsione sessuale che caratterizza il periodo “edipico” e le proibizioni dirette o indirette degli adulti trasforma gesti affettuosi e giocosi, dei genitori o dei fratelli, in gesti eccessivamente seduttivi e mal controllati dal bambino e dalla bambina. L’eccesso di seduttività, quindi la difficoltà a tenerla sotto controllo per non cadere nelle paventate punizioni, che la fantasia ingigantisce fino all’angoscia di castrazione, può dar luogo a stati d’ansia che si protraggono fino all’età adulta, con risultati variabili a seconda della gravità.
Naturalmente, se alla fonte i gesti non sono semplicemente giocosi ma proprio aggressivamente sessuali le cose si complicano ancora di più.
In tutte queste ipotesi il risultato di ciò che è successo in modo reiterato può far nascere fantasie difensive esagerate per esorcizzare l’angoscia, divenuta intollerabile, attraverso ansie di minore dimensione e maggiore frequenza, anche e soprattutto spostate sulla persona più cara.
La persona affettivamente più vicina, la persona che ci ama, rappresenta la mamma, il papà e via via i familiari che hanno accompagnato, bene o male, nella crescita. Anche quando l’hanno fatto commettendo errori.
Va sottolineato il paradosso che rende difficile la soluzione. Infatti, più è vicina questa persona, e più è amorevole, più li rappresenta: il partner, il fidanzato e la fidanzata, l’amica intima, sono i contenitori più adatti in cui riporre o gettare le emozioni rimaste imprigionate per anni.
Naturalmente anche lo psicoanalista, ma questo ha il vantaggio di saperlo bene e di poterlo rendere chiaro al paziente nei tempi e nei modi possibili.
Nel caso esaminato comunque, la memoria dell’inconscio trasmette continuamente la brutta sensazione che la persona più vicina è proprio quella che abbandonerà, perché, nella fantasia del soggetto non potrà che ripetere il comportamento già visto in chi ha ricoperto il ruolo della mamma o del familiare che ha abbandonato. Questo spinge il soggetto a mantenere un allarme perenne, cioè uno stato d’ansia più o meo patologico.
Pur tenendo presente che i caratteri possono presentare tante sfumature quanti sono gli esseri umani, in generale si può dire che l’inconscio continuerà a provocare ansia finché avrà un suo vantaggio (tipo quello descritto sopra) e lo farà a dispetto dei propositi coscienti della persona. Solamente un intervento psicoanalitico, che faccia emergere il progetto inconscio può portare a decisioni di modificare pensieri e azioni ritenute assurde.