Immaginiamo una scena: lei e lui, insieme, teneramente abbracciati sulla panchina di un parco a primavera inoltrata. E’ domenica, c’è un sole già caldo e tutt’attorno colori e corpi e profumi e voci descrivono un’energia nuova, carica di desideri e fantasie d’ onnipotenza. Hanno cenato insieme ieri sera, come ogni sera; hanno passato la notte insieme, nel loro nido profumato di nuovo; si sono alzati insieme, hanno fatto colazione insieme e insieme hanno deciso di venire a godersi un angolo di paradiso nella città finalmente un po’ tranquilla.
Sembrano persi nel loro esclusivo mondo incantato: niente di più tenero a vedersi.
Tra una parola e l’altra, un sorriso, una carezza e un bacetto, lui si gira e osserva per un attimo una ragazza un po’ speciale che passa davanti a loro. Un flash, una foto mentale scattata furtivamente, senza pensarci e senza malizia, come si direbbe in linguaggio comune.
Lei tace, si tace, si ammutolisce, si ritira, ferita e spaventata.
Lui non capisce, immagina ma non accetta che sia per quella “cosuccia” da niente. Si arrabbia e si gira.
I due corpi ora sono distanti e si avviano verso casa.
In un batter d’occhio la scenetta amorosa è diventata pesante e grigia, come nella nebbia padana, al tramonto, d’inverno. Non è ancora notte fonda, ma nemmeno splende più il sole sui due innamorati.
Cos’è successo in apparenza?
Se quelle due persone parlassero, lei accuserebbe lui di averla offesa per aver preferito dare attenzione ad un’altra, con l’aggravante di averlo fatto mentre le diceva frasi romantiche: insomma che era un falso, un fredifrago di cui non ci si poteva fidare: la razza di maschio peggiore per una romantica ragazza che cerca l’amore della sua vita.
Nel più moderato e castigato dei casi, direbbe che non era stato educato, che anzi si era dimostrato insensibile, come molti uomini, che questo non era un bel segnale per il loro futuro e che si aspettava le sue scuse prima di rivolgergli ancora la parola serenamente.
Lui farebbe lo scocciato e accuserebbe lei di essere “nevrotica”, di non ragionare e di prendersela per delle cavolate insignificanti. Direbbe che bisogna anche saper essere leggeri e spiritosi altrimenti la vita diventa una pizza tremenda. Direbbe che guardare e non toccare non è mai stato peccato, che le donne fanno di tutto per farsi ammirare e che all’uomo viene spontaneo voltarsi. Che lui ha rispettato una legge della natura e basta.
Nella versione più educata e sommessa, forse si scuserebbe formalmente, giusto per farla uscire dalla tigna, ma direbbe a se stesso di non farci caso e di essere più furbo per la volta successiva.
Le posizioni cambierebbero solo se almeno uno dei due capisse di avere più interesse a riallacciare il rapporto entro breve, piuttosto che a rovinarlo, e decidesse di agire di conseguenza.
Ma cosa può essere successo veramente?
Per il principio che se si vuole sapere perché le foglie sono ammalate bisogna guardare lo stato delle radici, esaminiamo lo stesso caso da una prospettiva non superficiale, che ci dia uno spaccato verticale della vita dei due partner e dei vantaggi inconsci del loro agire.
Immaginiamo dunque di tornare su quella panchina, nel parco a primavera, e di valutare le due personalità oltre l’apparenza.
Questo ci permette di sapere in anticipo a che tipo di comportamenti e di reazioni assisteremo con ogni probabilità.
Ognuno dei due ha una personalità che sappiamo essere composta da una tendenza naturale e dai condizionamenti dovuti alla vita familiare e sociale.
Noi non conosciamo né l’una né l’altra di queste persone, ma sappiamo che ognuna ha “scelto” inconsciamente l’altra per soddisfare un bisogno primario rimasto insoddisfatto.
Per sapere esattamente quale bisognerebbe trasportare quella panchina dentro lo studio di uno psicoanalista di coppia, ma possiamo accontentarci di una descrizione ipotetica. E verificarne la logica.
La descrizione fatta all’inizio ci fa pensare che si tratti di due persone con un pronunciato bisogno di stringersi insieme in un loro mondo esclusivo. Si tratta di una posizione sempre più frequente, dettata da vari fattori: psichici, psicologici e sociali.
Dal punto di vista psichico, si moltiplicano nella società attuale le incongruenze e le mancanze di equilibrio nella gestione della prole. Intanto sono sempre più frequenti le famiglie composte da un solo figlio/a e due genitori. Significa che per i piccoli non c’è possibilità di confronto alla pari, con fratelli quasi coetanei, ma c’è sempre un mondo prevalente: quello dei genitori.
Le pulsioni verso i genitori sono di grande bisogno nella primissima parte della vita (fase orale), quando la spinta a crescere esige protezione e nutrimento costanti.
Sono di dolore, di rabbia e persino di odio quando il distacco dalla mamma non è gestito in modo amorevole ed equilibrato.
Sono d’amore quando prevale la fase fallica con la sua “prova generale della sessualità”.
Sono di nuovo di dolore e rabbia quando le pulsioni sessuali sane e spontanee vengono represse dalla paura degli adulti.
Dal punto di vista psicologico e sociale, il mondo non è più facile per i bambini.
E’ il mondo di genitori che fanno sempre più fatica a stare al passo con le “esigenze” economiche della famiglia, che temono di perdere il confronto con amici e colleghi, che dunque sono sempre più presi dal contesto del lavoro.
Poi c’è la tv. Quella che spesso ruba ai bambini la possibilità di parlare con mamma e papà a tavola; quella che guardano per ore ed ore, ingoiando inconsapevolmente comportamenti violenti oppure onnipotenti o troppo dolorosi: quella che qualche volta fornisce anche il piacere di un sorriso.
Poi c’è il computer. Quello che dà la sensazione di avere il mondo in pugno, di dominarlo e fargli fare ciò che si vuole.
Durante lo sviluppo le varie componenti si sommano e si moltiplicano, dando origine a fenomeni in cui la scarica necessaria a mantenere l’equilibrio omeostatico della psiche e della mente diventa insufficiente. La conseguenza è una costante repressione d’impulsi positivi che si trasforma in sintomi contro se stessi e contro l’ambiente.
Basterebbe questo per capire il bisogno crescente di stare uniti. Quando le difese del singolo non sono percepite come abbastanza efficaci si può capire il ricorso ad un partner che sia innanzitutto protettivo.
Ma più forte è l’esigenza della protezione, più questa esigenza si fa frequente, più viene idealizzata, cioè concepita come quella perfetta dell’utero o del primo nutrimento, e più tragica diventa l’ansia che possa cadere da un momento all’altro.
Allora basta un ombra per spaventare, uno sguardo fuori dal cerchio del rapporto stabilito, una distrazione del partner, una sua lontananza non programmata, un comportamento non controllato, inusuale.
Basta un fantasma per rompere un rapporto, se questo si basa sull’esigenza della protezione.
Basta proprio un niente per gettare nel panico una coppia, che basa il rapporto sul possesso anziché sull’amore.
Alfredo Rapaggi