Due regole d’oro in amore: dal complesso di Carmen

Questa volta utilizziamo l’opera lirica per parlare di un tema molto importante, meglio affrontabile, come vedremo, con la psicoanalisi. Lo facciamo attraverso un semplice versetto inserito nell’opera “Carmen” di Bizet, da cui molti anni fa trassi personalmente l’idea di chiamare un certo comportamento psicologico umano: “complesso di Carmen”.
Nella traduzione più usata in italiano il soprano di quell’opera canta così:
“Se tu non m’ami ebben io t’amo, ma se m’ami devi tremar per te”
Nella logica di persone adulte, intelligenti e psicologicamente equilibrate, questa frase sembra un rompicapo. Vediamo perché.
Prima parte. Se tu non m’ami, io ti amo: non è giusto, ma scherziamo?
Una persona di normale equilibrio, e portata a godersi la vita, ama soltanto se è amata e in proporzione, più o meno, a quanto è amata; diversamente ci rinuncia perché sa che sarebbe solo una sofferenza.
Non c’è bisogno della saggezza della psicanalisi per stabilire un simile principio, basta davvero il buon senso di una psicologia popolare.
Ma spesso, in amore il buon senso non entra in funzione, si perde tra le nuvole dell’idealizzazione.
Qualcuno ha detto che l’amore è la forma più bella della pazzia. Un’iperbole che ha sempre attirato simpatie. Come espressioni del tipo “sono pazzo d’amore”, “sono pazzo di te”. Questo tipo di esagerazioni sono simpatiche finché restano nell’ambito dello scherzo, perché la pazzia è uno stato decisamente troppo tragico per poter essere desiderato veramente.
Quindi ricorriamo ancora una volta al dottor Sigmund Freud perché ci spieghi da dove nasce questa specie di psicosi, che non considera più la realtà quando ha davanti il suo oggetto d’amore. E Freud ci spiega che di fronte a situazioni infantili di carenza letale, una persona può inconsciamente fantasticare ciò che non c’è e viverlo come se ci fosse. E’ l’uso indispensabile della fantasia, che diventa abuso. Si tratta infatti di uno dei meccanismi di difesa automatici e inconsci che possono salvare una vita psichica in crescita, soprattutto in un momento di estrema fragilità. Le conseguenze future, nell’età adulta, dipenderanno dalla durata e dalla gravità della situazione e dalla persistenza dell’utilizzo del meccanismo che in origine era di difesa.
In altri termini.
C’è una sola condizione umana in cui una persona è naturalmente felice di amarne un’altra, senza chiedere di essere ricambiata: è quella della madre, prima di tutto, poi del padre e dei loro sostituti, verso il figlio o la figlia.

Insomma: la condizione genitoriale.
Viceversa la condizione filiale dà il diritto di essere amati, protetti e nutriti senza l’obbligo della reciprocità per il semplice fatto che i genitori sono già cresciuti e i loro bisogni primari sono già stati soddisfatti dai loro genitori.
Allora, se una persona adulta ama senza chiedere di essere amata vuol dire che si mette, o meglio cerca di mettersi, nel ruolo di genitore.
Vien subito da chiedersi quale vantaggio psicologico e affettivo dovrebbe avere.
Conviene indagare nell’inconscio per saperlo, perché abbiamo già visto che non c’è un senso secondo la logica cosciente.
Per la teoria psicologica delle relazioni, si potrebbe trovare una giustificazione nel desiderio che ogni persona ha, di tenere sotto controllo l’ambiente, quindi le persone che lo abitano.
Per dirla molto brevemente, secondo questa teoria ogni partner della coppia cerca di dominare l’altro per controllarlo, disporne a proprio piacimento e comunque salvarsi da eventuali gesti negativi e distruttivi.
Ma una simile teoria, che non appartiene al campo della psicoanalisi, è parziale, incompleta, perché presenta un individuo ansioso e insicuro e non ci dice perché sia così. Cosa significa infatti, “il bisogno di controllarlo”, se la relazione è di fiducia come dovrebbe essere quella tra due persone che si amano?
Ci vuole una riflessione di tipo psicoanalitico per andare più vicino possibile alla fonte del problema. C’è un conflitto macroscopico: una forma di nevrosi di coppia che impedisce ai soggetti in causa di essere felici.
Facciamo un’ipotesi.
Mettiamo che una bimba piccola, o un bimbo, sia troppo frequentemente lasciata sola dalla mamma, la quale ha tanti altri impegni da assolvere, “che non possono aspettare”. Una prima difesa psichica inconscia può essere quella d’immaginare che la mamma ci sia. Ma se questa difesa si mostrasse insufficiente potrebbe essere rinforzata da una seconda difesa, più sicura ancora: l’idea onnipotente di essere lei la mamma di se stessa. E se nemmeno questa bastasse, allora la bimba (o il bimbo) può cercare di perfezionare ancor di più la sua idea, con la fantasia di essere la mamma di qualcosa di cui avere il completo controllo: un pelouche, per esempio o un animale. In questo caso sì che il bisogno di controllo avrebbe un senso importante. L’ansia di restare sola quando non ha ancora la possibilità di muoversi nell’ambiente in modo autonomo può essere grande e può diventare esagerata se in quell’ambiente ci fossero persone pericolose, come un fratello o una sorella gelose.
Ecco che il complesso di Carmen, nella sua connotazione nevrotica, avrebbe senso: se tu non m’ami, ebbene io posso gestire la situazione e sono libera di amarti, se e quanto voglio. Non importa, sembra dire Carmen, se tu mi ami o no nella realtà, anzi, io sono autonoma con la mia fantasia e i miei deliri. Io ti utilizzo come un pelouche o un cagnolino al mio servizio solo se tu non sei in grado di ricambiare. Io ho bisogno di sentire questa potenza.
E’ un’inversione di ruolo, come si dice nello psicodramma: io faccio il genitore che ama e tu fai il figlio che si lascia amare e basta.
Povera Carmen, com’è lontana dalla vera felicità. Eppure si convince di esserne vicinissima anche quando sente di essere prigioniera delle sue antiche paure. La sua convinzione è la sua difesa.
E allora ecco la seconda parte, la seconda frase che completa il versetto lirico: “ma se m’ami devi tremar per te”.
Questa è più facile da capire una volta chiarita la prima.
Se tu, che io ho messo inconsciamente nel ruolo di chi non mi ha amato, cioè nel ruolo della mia mamma e del mio papà che mi abbandonavano o che non mi proteggevano, dici di amarmi. Se tu accetti di entrare nel ruolo di mia sorella o di mio fratello gelosi che fossi venuta al mondo e desiderosi di eliminarmi.
Se tu accetti, altrettanto inconsciamente, di amare proprio me, ami inevitabilmente una bomba di odio inesplosa, stai attento. Sono una persona che ha accumulato e trattenuto dolore, paure, rancori, desideri di vendetta, enormi quanto enorme è l’energia della bimba e del bimbo ancora privi di controllo.
Sappilo e sappi difenderti perché io non so se riuscirò  farlo.
Questo è il complesso di Carmen.
E’ la paura di provare liberamente piacere, di amare in modo adulto, con il normale scambio di fiducia, di sensazioni piacevoli e forti, di passione e di riconoscenza.
E’ la decisione inconscia di amare o essere amati in modo unidirezionale, invadendo l’altro per mantenere sempre l’illusione di controllare la relazione e le sue ingestibili emozioni.
E non vi dico come finisce l’opera, per lasciarvi la soddisfazione di scoprirlo da soli, se già non lo sapete.
Dico che, come per ogni complesso, vale la penna rivolgersi ad un’analista per capire e porvi rimedio.

Alfredo Rapaggi

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