Partirei dal Patto del Nazareno, piuttosto che dallo scandalo di Roma.
Per vent’anni, e fino a quel momento, la sinistra italiana si era sgolata contro Berlusconi, individuato come il nemico numero uno delle persone oneste, dei lavoratori, dei meno abienti, degli immigrati, degli idealisti, eccetera eccetera.
Non che le accuse fossero tutte ingiuste e che Berlusconi fosse privo di difetti, anzi si prestava perfettamente ad essere il bersaglio di molte critiche.
Ma come ben si sa, uno dei metodi più sicuri per avere consenso è creare un nemico. E più lo si trova adatto e presentabile alla rabbia dei cittadini più i veleni e le angosce paranoiche vengono soddisfatte.
Anche lo stesso Berlusconi del resto, gran maestro di comunicazione, seguì questa regola quando rispolverò come nemico il vecchio e pericoloso comunismo (che nei fatti non esisteva più da tempo) e tanto per non stare leggero, diffuse la notizia/leggenda che i comunisti mangiavano i bambini. Pare si riferisse a qualcosa che si diceva essere successo davvero in Cina, in epoche buie quanto quelle dell’inquisizione cattolica. Nessuna persona intelligente avrebbe mai potuto mettere in relazione questa notizia con i politici italiani del 2000, ma come cantava Fabrizio De André “una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale…”
Dunque, quel ventennio è stato caratterizzato da due blocchi che si sono fronteggiati a suon di offese abbastanza pesanti e assolutamente dannose per tutti noi.
Dannose perché spesso dietro le grandi polemiche si nascondono gli affari più disonesti.
Comunque ognuno dei due blocchi aveva trovato il nemico da dare in pasto ai propri supporter e a tutti i paranoici con diritto di voto.
D’altronde, questa società sembra costruita apposta per creare e alimentare le paranoie, tanto che il termine ormai è nell’uso comune, quasi potesse essere esorcizzato nel passare di bocca in bocca e attraverso i media con distratta nonchalance.
Nella realtà si tratta di una brutta psicopatologia. In molti casi è mascherabile, ma non per questo meno deleteria.
La paranoia è una psicopatologia che fa vedere come reali un certo numero di nemici creati dalla fantasia e costringe chi ne è affetto ad attaccare il mondo per difendersi dai suoi fantasmi. Ovvero, detto in altre parole, a proiettare su persone reali le angosce e i veleni derivanti dalle proprie angoscianti fantasie di pericolo.
Naturalmente, come per altri sintomi, anche per la paranoia esistono vari livelli di gravità. vari meccanismi di difesa e vari gradi di coscienza rispetto alla propria situazione.
Ma il punto è un altro riferendoci alla psicopolitica: il punto centrale è il dubbio che spesso siano proprio loro, i leader politici che dovrebbero proteggerci, ad esserne colpiti prima e più di tanti cittadini. In questo caso la differenza tra loro e tutti gli altri è che loro hanno raggiunto il potere, quindi hanno i mezzi e gli uomini per comunicare ciò che vogliono, per manipolare, per danneggiare, per riempire di promesse e di illusioni, per farsi le leggi su misura.
Comunque Berlusconi era il seme scaturito della fine della prima repubblica, beneficiario in solido dell’amicizia di Craxi.
Rifugiatosi in Algeria il suo amico politico, aveva deciso di fare da sé.
Era un imprenditore che si presentava come l’antipolitico capace di gestire l’Italia come una grande impresa di successo. Sembrava molto diverso dagli incapaci che l’avevano preceduto.
E il popolo fu subito pronto a credere alla nuova illusione.
Stanco dei pastrocchi della prima repubblica il popolo si affidò alle nuove promesse. La gente votante è così: crede soprattutto nei miracoli futuri anche se ogni volta poi è costretto a rivivere la solita delusione.
D’altronde ogni persona tende a credere ai sogni quando la realtà delude: è questa la funzione della fantasia per fornire una scialuppa di salvataggio nei momenti impossibili.
Con gli scandali di “Tangentopoli” finirono in prigione funzionari di partito e intermediari d’ogni genere, quelli eufemisticamente chiamati affaristi. E anche i più ingenui tra i cittadini vennero a sapere dell’esistenza di questo mondo parallelo alla politica e del suo esagerato e disonesto attivismo: insomma il pensiero comune era che fossimo in mano ad una grandissima banda di ladri e che si dovesse far piazza pulita.
Direte voi che oggi non è cambiato nulla, anzi, potreste dire che questo mondo del malaffare è diventato più popolato, più aggressivo e più spudorato. Io credo che sia allineato con il divenire della società. Ma parentesi a parte, direi che qualcosa di diverso ci sia.
All’epoca di Tangentopoli furono abbattuti due totem: Andreotti, insieme ad altri notabili della sua Democrazia Cristiana, emblemi del potere eterno (anche per lo stretto legame col Vaticano) e Craxi, il piccolo duce della sinistra moderata, che al Vaticano aveva appena regalato, senza chiedercelo, il famoso e lucrosissimo otto per mille.
Fu da quel periodo in poi, anche se pochi se ne accorsero, che la politica convertì definitivamente i suoi ideali in soldoni. Tangentopoli, anziché fermare la corruzione, la rese desiderabile da un numero maggiore di persone, anche perché tra vantaggi e rischi avevano decisamente vinto i primi. E questo fu chiaro a tutti.
Il denaro non fu più un bene utile a fare la spesa quotidiana e a sfoggiare qualche optional, ma era diventato il re indiscusso delle relazioni sociali, il protagonista per eccellenza dello status simbol, della possibilità di avere una posizione di lavoro e di potere a tutti i livelli.
Il denaro aveva alzato furtivamente la sua bandiera fino a farla svettare più alta di tutte in ogni campo della vita degli italiani.
Dunque perché, che senso aveva a quel punto votare per un partito che si diceva paladino dei più deboli, piuttosto che per uno che si vantava di difendere i valori religiosi o quelli della patria unita? Davanti al dio denaro erano diventati tutti uguali. Tutti avevano iniziato ad invitarlo nei loro salotti e ad accoglierlo come l’ospite di riguardo, tutti iniziarono a volerlo in modo sempre più spudorato, tanto da non distinguere più ciò che era onesto da ciò che era disonesto. In nome del dio denaro tutto poteva essere permesso.
Il denaro di destra era diventato uguale a quello di centro o di sinistra.
E allora tanto valeva renderlo ufficiale con un patto pubblico, dove l’ormai vecchio e ricco Berlusconi metteva al sicuro ciò che di suo era in pericolo, in cambio di un passaggio di testimone, cioè di potere, senza inutili guerre.
Il denaro, che in psicoanalisi è trattato giustamente come simbolo di valore, quindi emblema del legame affettivo più profondo, il denaro che spesso occupa molto del tempo dell’analisi delle resistenze e a cui si legano le metafore dell’attaccamento e del distacco affettivo, il denaro ha assunto il significato molto più banale di simbolo del potere.
Da quel punto in poi le persone hanno iniziato a sentire, come mai era successo prima, di valere qualcosa in società solo se possedevano il denaro. Tanto denaro, senza limiti e senza pudore, perché solo quello era diventato il simbolo della grandezza del potere.
Denaro e narcisismo avevano stretto ancor di più il loro deleterio abbraccio.
Col patto del Nazareno è possibile che tra Berlusconi e Renzi sia avvenuto uno scambio di questo tipo: tu non tocchi il mio denaro, io ti passo il mio potere.
Con buona pace del nome del luogo e dei vangeli che richiama.
Ecco, io non voglio dire che il denaro non conti niente e che si viva sicuramente bene anche in povertà, purché ci si ami: questa mi pare una romantica esagerazione. So che se in famiglia non ci sono soldi per arrivare a fine mese è facile che nascano brutte tensioni, capaci di rovinare i rapporti.
Quindi non demonizzo il denaro di chi lo usa per vivere.
Ma vedo i danni della carenza di sentimenti, della sostituzione tra ideali e denaro e sento una certa nostalgia.
Rimpiango i tempi di don Camillo e Peppone, quando la politica era fatta di passioni, a volte anche esagerate ma sempre umane.
In questo mi sento un romantico della psicopolitica. Do una grande importanza alle relazioni, alla sincerità, alla capacità di sostenere un ideale prima di tutto coi fatti, alla forza di parlare con l’esempio, non con le urla o con le promesse truffa.
Senza mediazioni fasulle.
Perché il denaro non è l’affetto.
Sia ben chiaro questo. Va detto a tutti quelli che per averlo danneggiano gli altri, rovinano intere famiglie, ammazzano e s’ammazzano. Va detto a tutti: a chi è povero e vuole diventare ricco, a chi è ricco ma vuole molto di più e soprattutto a chi dovrebbe garantire ai suoi concittadini una vita serena e dignitosa.
Il denaro che non serve per vivere è miseria psichica.
In quanto simbolo, il denaro è solo uno squallido sostituto dell’affetto mancato: inutilmente desiderato e mancato.