la locandina
Definizione di Narcisimo
Iniziamo a trattare l’argomento che riunirà nel convegno annuale e tradizionale dell’Istituto Mosaico Psicologie, diretto dal dr. Rapaggi, cinque interventi e un workshop.
Il titolo è chiaro: si vuole sottolineare che il problema del narcisismo deve essere analizzato partendo dalla famiglia d’origine e precisamente da alcune distorsioni relazionali facilmente individuabili.
Individuare, non colpevolizzare, individuare per correggere e basta.
Il narcisismo è la condizione in cui si trova la persona all’inizio della sua vita prima di scontrarsi con le inevitabili limitazioni dell’ambiente. Freud lo paragona all’Ideale dell’Io: il modello a cui l’Io tenderebbe continuamente senza mai raggiungerlo. Se lo raggiungesse quello cesserebbe di essere un ideale. Dunque il narcisismo rappresenta l’immagine di onnipotenza che l’essere umano ha prima di conoscere i propri limiti nel confronto con la famiglia. Man mano che ne viene a conoscenza proietta il suo modello di onnipotenza sui genitori (e sostituti) permettendo loro di diventare i regolatori della propria vita (Super-Io) Se la relazione con i genitori procede in armonia con le proprie tendenze l’essere umano mantiene quella dose di narcisismo che gli serve per sentirsi capace di superare gli ostacoli. Se viceversa non procede secondo le proprie tendenze e aspettative egli deve adattare la propria personalità procurando a se stesso ferite narcisistiche di proporzioni che variano a seconda del tipo di distorsione subita
Premessa.
Il mio intervento cercherà di fare più chiarezza su ciò che uno psicoterapeuta/psicoanalista può fare per curare psicopatologie narcisistiche, naturalmente entro i confini delle nevrosi.
Quando questi confini vengono superati è estremamente difficile che si possa fare a meno della cura psico-farmacologica.
Il motivo è semplice e lo sanno tutti quelli che hanno avuto casi psicotici: se il cervello non funziona con sufficiente regolarità la parola, che è l’espressione del pensiero, perde la sua capacità di correggere le conseguenze delle fantasie distorte.
Conseguenza: la fantasia e la realtà si confondono e l’una è vissuta e patita come se fosse l’altra.
Lo dico perché non è difficile che lo spirito missionario che anima le psicoanaliste e gli psicoanalisti giovani spinga ad accettare casi di psicosi più o meno mascherate.
Ma, ragazzi, purtroppo per noi non bastano l’amore e la disponibilità per guarire ferite profonde, quelle che portano alle psicosi se questa disponibilità e questo amore sono imprigionate in 45’ o 90’ minuti alla settimana. E credo che non basterebbero neanche se questi tempi non ci fossero, se potessimo lavorare su un caso solo per le 24 ore al giorno, come ci dicono i colleghi che operano nelle strutture apposite.
Sempre nell’ambito della premessa faccio un primo esempio.
Un giorno in pausa pranzo, a Bologna, vado in uno dei locali vicino allo studio per distrarmi un po’. Era stata una mattinata particolarmente impegnativa, di quelle che capitano ogni tanto per l’incrocio imprevisto di vari fattori negativi su ognuno dei pazienti visti. Accetto passivamente l’invito perentorio del cameriere che mi fa segno di accomodarmi in un tavolo tra altri due, nonostante il resto della sala fosse libero e mi attirasse particolarmente.
Appena seduto ho subito una sensazione strana e sento l’impulso ad alzarmi, ma è inutile sono davvero privo di forze, passivo, e così, davvero rassegnato, mi tuffo nella lettura minuziosa del menù.
Alla mia sinistra intanto va in scena un doloroso teatrino.
Un uomo grosso, con la faccia tonda da lattante, la barba incolta e lo sguardo fisso sta parlando alla madre: una donna grossa, con la faccia tonda da lattante, di cui non riesco a vedere lo sguardo ma che mangia con avida lentezza, tenendo l’attenzione solo sul suo piatto. Per la verità ogni tanto alza la testa, ma vedo che lo fa solo per prendere il bicchiere, bere e rimetterlo al suo posto.
L’uomo parla continuamente, ma ripete la stessa frase con poche varianti e in tono uguale. Si rivolge alla madre, che nomina ogni tre o quattro parole, e chiede una risposta che non arriva mai, che credo non sia mai arrivata, che in fondo non si aspetta più da tempo, chissà da quanti anni. Così, riprende subito la sua frase come se non potesse rassegnarsi a quel silenzio, come se neanche lo sentisse più, come se s’illudesse di poterlo riempire, quel pesante silenzio, con se stesso.
E lei continua a mangiare lentamente, senza dare un solo segnale di attenzione, come chi riesce a studiare e a concentrarsi anche mentre le cuffie gli sparano nelle orecchie una sonora musica dark.
Ora, per rendere meglio l’idea, vi riporto un po’ delle frasi dell’uomo dalla faccia tonda da lattante. Eccole.
< Io devo fare busines, devo fare soldi, sono capace, mamma! sono bravo, sono grande, mamma! adesso vedrai che ci riesco, mamma! devo solo farlo, sono bravo, sono capace, il migliore, mamma! devo fare la cosa migliore mamma! Sono grande, sono il migliore, vero mamma? mamma, stavolta farò marketing e farò soldi, mamma! devo fare busines, devo fare soldi, mamma è vero, vedrai, sono il migliore vero mamma?! > Silenzio assoluto da parte della madre, che mangia come se non fosse al ristorante ma in una cella isolata, che non ha orecchie né occhi un quel suo faccione grande da lattante. E lui va avanti come se qualcuno prima o poi lo ascoltasse
<io devo fare busines mamma, sono bravo, sono bravo mamma, vedrai………….>
Imperterrita, la madre va a prendergli del mangiare dal piatto e lui non la vede. La scena si ripete alcune volte finché il figlio resta senza cibo ma continua la sua cantilena per circa mezz’ora da quando mi sono seduto io a quel tavolo.
Quando i due piatti sono completamente vuoti. la mamma si alza, sempre in silenzio; il figlio con la faccia grande e tonda da lattante guarda un momento il proprio piatto, resta inebetito, fa una pausa e chissà cosa pensa, se pensa, poi si alza a sua volta e continuando la sua cantilena segue la mamma, con cadenza pesante e regolare fino all’uscita.
Questo il teatrino che forse ho trovato più doloroso perché fuori dallo studio, in un luogo dove non me lo sarei aspettato.
Eppure spero che una premessa di questo tipo sia servita ad abbassare quella parte di resistenze che potrebbero nascondere ai nostri occhi la gravità di certe situazioni, a favore della speranza megalomanica, ovvero narcisistica, di riuscire a risolvere sempre tutti i casi.
Possiamo dunque passare all’analisi del sogno che ho scelto come esempio di ferita narcisistica latente. Lo inseriremo nel contesto di una personalità, lo confronteremo con i sintomi, con quelli riconosciuti dalla paziente e con quelli catalogati dall’analista, e vedremo infine come sia possibile intervenire positivamente con i mezzi che abbiamo oggi.
Ho pensato anzi di elencare una serie di sintomi riconosciuti negli ultimi anni come manifestazioni narcisistiche.
Come si può notare comprendono psicopatologie gravi e segnali di squilibrio meno gravi.
Per quanto riguarda gli stati di squilibrio meno gravi, vale la regola dei sintomi nevrotici e cioè va misurata la quantità, non la qualità del sintomo, per stabilire quanto è grave. Se si analizzasse solo la qualità tutte le persone sarebbero ugualmente coinvolte. Avendo davanti l’elenco avete la possibilità di riconoscere il tipo di sintomo nel racconto del sogno e nelle relative catene associative della paziente.
Eccoli:
Schizofrenia
Megalomania
Autismo
Paranoia
Ipocondria (Disturbo da ansia di malattie)
Animismo
Credenze magiche
Sonno frequente immotivato
Malattie Psicosomatiche
Innamoramento Idealizzato
Perversioni
Vanità
Onnipotenza di pensiero
Supervalutazione di Sé
Pretesa di trattamento speciale
(eccessive richieste di attenzione,
frequente diritto di meritare più degli altri)
Persistente invidia
Reazione rabbiosa o depressiva alle critiche
Mancanza di empatia verso gli altri
Oscillazione dell’autostima
quadro minimo familiare
trovo logico tracciare un quadro minimo familiare, tracciato sulla versione della paziente, così da permettervi l’inserimento del sogno e delle associazioni in un determinato contesto formativo. (omissis……)
Sogno
Premessa della paziente.
Questo sogno è l’ennesima prova che sono circondata da incapaci presuntuosi. Ora io posso sopportare l’incapacità della gente, poverino se uno nasce tonto, pazienza, ma non sopporto la presunzione che certe persone sfoggiano credendo di avere sempre ragione.
D certe…
– sicuro, certe, lo so benissimo dove vuole arrivare, lo so meglio di lei, ma io cammino nella verità perché ho scelto coscientemente la verità e me ne vanto e non permetto a nessuno di discuterla. Quelle che non sopporto sono le persone che non sanno nemmeno dove stia la verità. non vedono la loro incapacità, non sono coscienti della loro ignoranza eppure si comportano come se fossero onniscienti.
D tutto questo è contenuto nel sogno?
– certamente
Contenuto del sogno
Facevo un lunghissimo viaggio con mia sorella. C’era altra gente che non ricordo. c’erano intasamenti incredibili e ostacoli d’ogni tipo ma la soluzione la trovavo sempre IO, capisce? Io, qualunque cosa succedesse.
– Vorrei fare un’associazione:
la ragazza che lavora con me mi ha dato un passaggio in auto l’altro ieri e mi raccontava come poteva succedere che una maglia si sarebbe infeltrita. Io ho avuto un rigetto tanto forte che ho sentito nausea, una grande nausea e irrigidimento muscolare per tutto il corpo. Non mi capita spesso di sentir parlare di lavatrici e anzi mi ripugna che ne vengano a parlare proprio con me.
D l’associazione era con sua sorella?
– mi è venuta così ma non mi viene la nausea se penso a lei
D capisco, magari la riprendiamo dopo
Torniamo al sogno.
Credo che risolvessi diversi problemi di mia sorella e che lo facessi mentre andavo da uno scompartimento all’altro (del treno). Ad un certo punto ho visto un tipo, un uomo grande e rozzo, che faceva delle strane manovre sotto un sedile, dove c’erano sedute altre persone.
D persone?
– donne,
il tipo manovrava con un grosso aggeggio, tipo un bottiglione di plastica dura, che tentava inutilmente d’infilare da qualche parte. Provava e provava ma quello non ci passava. Cambiava posizione e imprecava, il tonto, che non ce la poteva fare. Mia sorella, ingenua come sempre, l’ha avvicinato sorridendo, (tanto lei sorride a tutti) e gli ha fatto capire che, se l’avesse lasciava fare, ci sarebbe riuscita usando semplicemente più dolcezza. Quindi ha preso in mano quell’aggeggio. Ma appena l’ha toccato l’uomo ha fatto un salto indietro, di colpo, come se avesse avuto paura e mia sorella, altrettanto spaventata, ha lasciato cadere l’aggeggio. Io l’ho preso in mano a mia volta, ma a differenza sua ho capito subito a cosa serviva. Per niente spaventata, l’ho usato per aprire una cassaforte posta sotto il sedile. Dentro c’era qualcosa di strano, o niente, ma non mi sono fermata a guardare, ho solo fatto notare che con gli uomini basta un pizzico, ma proprio un pizzico d’intelligenza, visto il loro scarsissimo quoziente abituale.
Mia sorella ha ribattuto con ghigno sarcastico
<si sa che tu sei un essere superiore>.
Non mi sono stupita perché è semplicemente vero.
Associazioni
– mia sorella l’ha sempre ammesso, anche se ha sempre usato un tono tipo svalutante, ma a scuola sono sempre stata più brava io, almeno alle elementari. Lei sa fare dei gran sorrisi a tutti, ma nelle cose pratiche le soluzioni gliele trovo io. Lei ha la maschera del sorriso ed è per quello che ha trovato marito che non era ancora maggiorenne. Non so però a che cosa le serva. Io ho 40 anni e non ho mai avuto bisogno di uomini: come lei sa, sono orgogliosamente vergine. Gli uomini non capiscono niente: sono grezzi, egoisti, volgari, prepotenti, cafoni e si credono pure degli dei.
Anche il suo Freud era malmesso se per sentirsi qualcuno ha dovuto inventare l’invidia del pene. Ma chi ve lo invidia quell’aggeggio lì.
Nota mia
°°°°Faccio silenzio, ma penso, sia al triangolo protagonista del sogno (lei, sua sorella e il tipo rozzo), sia al fatto che l’uomo è sparito alla fine, sia alla parola “aggeggio”, che ha appena ripreso e che non aveva mai usato prima, almeno con quell’enfasi. Devo tenere a mente che lei non accetta alcun riferimento sessuale o religioso che la coinvolga direttamente, può accettarlo solo in modo molto indiretto. Oppure bisogna che sia lei stessa ad introdurre l’argomento e deve farlo da intellettuale che non ammette commenti, comunque senza che ci siano emozioni, insomma con quel chiaro meccanismo di difesa che è “l’evitamento dell’affetto”.
SECONDA PARTE
La sessualità e la religione sono i suoi totem interiori, che lei valuta rispettivamente come negativo e positivo. Due elementi troppo distanti tra loro, in conflitto perenne dentro di sé, creano l’insopportabile confusione tra il male e il bene, ovvero tra ciò che è naturalmente bene e ciò che è culturalmente male. Ovvero, per usare la terminologia di Freud, tra Es e Super Io.
Riprendo il colloquio
D si sta riferendo alla presunzione dei maschi?
– a quella dei maschi, poveri illusi, e a quella delle femmine che si lasciano sottomettere convinte d’essere loro ad avere in pugno la situazione. Le femmine mi fanno proprio pena.
D tutte?
– a parte me, tutte; mia madre in primis, che resta sposata a un uomo rozzo e privo di sensibilità, poveretta, un tipo che pensa di essere qualcuno solo perché le invia quattro soldi. Io sono talmente superiore che non riesco ad ambientarmi in questo mondo di ignoranti.
Nota mia
°° resta in silenzio per qualche minuto, un silenzio pesante, di quelli che contengono una serie di censure, una quantità indefinita di non detti, di quelli che lasciano nell’ambiente la scia delle loro emozioni bloccate. In gergo si direbbe che si tagliano col coltello tanto sono massicce.
Ne prendo atto, semplicemente, anche se con un certo rammarico. Accetto il ricorso a questa sua modalità difensiva: eravamo arrivati troppo vicini allo scabroso nucleo del rapporto col padre. Un nucleo che di solito proteggeva svalutando e disprezzando tutti gli uomini, cioè la categoria di cui il padre era capostipite.
Riprendo imboccando un’altra strada, fingo per sviare la sua attenzione difensiva come se cambiassi discorso, pensando naturalmente di restare sull’argomento.
D le chiedo di tornare alla maglia infeltrita…
– vuole sapere a che cosa mi fa pensare?
D ha avuto una reazione molto forte, come se il simbolo fosse più importante della cosa in sé.
– beh, è semplice, una maglia infeltrita è una maglia in cui gli spazi tra i fili di lana si sono di molto avvicinati. Ma non penso che abbia a che fare con mia sorella o con mia mamma, come vorrebbe farmi credere lei.
Nota mia
Sottolineo che attribuisce a me i pensieri che poi vuole negare.
– Gli spazi tra me e mia mamma non si sono mai accorciati così tanto. Lei poverina ha tanto buona volontà ma è limitata, non riesce ad esprimere affetto se non alla gatta.
D la gatta?
– si, non credo di avergliene mai parlato perché io la odio, sono allergica al suo pelo.
D quindi lo rigetta.
Nota mia
Ecco che cosa rigetta: il pensiero che la madre passi da una vicinanza strettissima all’attenzione per un altro essere vivente, forse la sorella e forse il padre. Non può ammettere di non essere la privilegiata, o addirittura di essere respinta. Torniamo a lei.
– certamente, mia mamma dice che la gatta è un’opera d’arte ma io preferisco le mie opere d’arte, quelle si, che hanno un valore vero. Tra poco potrei fare un’esposizione dove mi hanno chiamata anche se non ero pronta del tutto. Ma mi vogliono assolutamente. Pensi che io non ho chiesto niente, mi hanno scritto perché hanno avuto il mio nome non so da chi, insomma un passaparola.
C’è un selezionatore fantastico, un bel uomo, che ha capito perfettamente il mio valore. Io non so se alla fine parteciperò perché la gente capisce poco le mie opere e a me non va di stare lì a spiegare e far finta di sorridere a tutti.
Nota mia
Continuano le difese rispetto all’idea di non essere più la preferita, adesso è palese la compensazione allucinatoria narcisistica: immagina di avere un successo vero e vive la fantasia come se si fosse già realizzata. Quando poi si accorge che non è così, prima dice che è lei a non volere esporsi all’attenzione degli altri poi disprezza tutti, li tratta da incompetenti.
Riprendiamo con le sue parole
Ma perché non parliamo del mio sogno, pare che lei lo stia evitando.
D va bene, torniamo al sogno e magari riprendiamo dall’inizio: associazioni con il viaggio, il lungo viaggio con sua sorella
– un lungo viaggio, beh, potrei parlare di tutta la mia vita visto che lei c’è sempre stata, ma sarebbe banale. Penso invece alla gita che abbiamo fatto insieme quando io ero in prima superiore e lei all’ultimo anno. S’era data ufficialmente il ruolo di seconda mamma. Non che facesse delle cose particolari ma era sempre attaccata a me, appiccicosa, fastidiosa.
D come una maglia infeltrita
– stava sempre in apprensione come se avessi avuto due anni. Io ero diventata rabbiosissima con lei, davvero non la sopportavo più quel giorno.
D in effetti lei la mamma ce l’aveva già.
– infatti, ma doveva esserci qualcos’altro che forse mi sfuggiva. Beh, si sentirà soddisfatto che adesso mi tocca ammettere che un dettaglio per quanto piccolo, mi può anche sfuggire.
D che un dettaglio per niente piccolo resti nell’inconscio?
– non si dia troppe arie, tanto tra poco capirò tutto.
Nota mia
°°°°°Penso che il dettaglio che rimuove e che non riesce a riprendere dall’inconscio sia il fatto che SE sua sorella prendesse il ruolo di sua madre diventerebbe simbolicamente moglie di suo padre. Questo provocherebbe in lei:
-
l’angoscia profonda di constatare che è possibile infrangere il tabù dell’incesto;
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lo shock relativo alla sconfitta nella corsa al padre, che invece vincerebbe sua sorella;
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la paura più realistica, anche se piena di sentimenti contrapposti, di essere rigettata inesorabilmente tra le braccia della madre.