Peters Voronovskj sosteneva che la felicità è data da una folle corsa nella neve, in compagnia di una bottiglia di Vodka dopo una lunga e bollente sauna.
Provo a capire il suo punto di vista, anche se l’esempio pare si riferisca ad un momento di gioia, piuttosto che alla felicità.
D’altronde uno dei primi aforismi che scrissi su una mattonella del bagno diceva “la felicità che cerchi è nel tuo cuore, ovunque andrai ti seguirà”. In seguito l’ho vista ripetuta molte volte, sui social. Questo l’ha resa statisticamente banale, ma di sicuro non le ha tolto importanza.
Secondo Peters, sembra che la felicità venga da elementi esterni, secondo me viene dall’interno, da una personalità strutturata in modo sano.
Ma andiamo con ordine, che cos’è la felicità?
E’ la semplice mancanza di dolore; è l’appagamento dei bisogni primari come sentirsi protetta, mangiare, bere o far l’amore; è una gioia che si prolunga nel tempo; è la sublimazione in una fede o nell’arte o nella filosofia; è realizzare un sogno importante; è stringere al petto una personcina appena nata e vederla crescere bene; è l’idea di vivere per una giusta causa, come aiutare chi ne ha bisogno; insomma che cos’è la felicità?
Penso proprio che bisogna fare una distinzione tra gioia e felicità.
Normalmente i due stati vengono distinti per la loro durata: la gioia sarebbe breve, la felicità più duratura.
Ma non è sufficiente.
Ci sono persone che riescono a trovare più lati negativi in un racconto positivo all’80% e ci sono persone che, nello stesso racconto, non vedono nemmeno quel 20% di negativo che pure esiste.
In concreto, un Peters negativo si sarebbe lamentato del caldo eccessivo della sauna, del freddo della neve e del danno che gli avrebbe procurato una sbronza di vodka a digiuno.
Ora ci sarà senz’altro chi dirà che questa è la banale osservazione che corrisponde al bicchiere visto mezzo pieno o mezzo vuoto, certo, d’altronde il banale è solo l’elemento più diffuso, ma per me si tratta di una necessaria premessa.
La definizione più completa e corretta di felicità somma l’elemento neuro-psico-fisiologico, cioè l’appagamento di tutti i bisogni primari, con la durata del piacere. L’elemento neuro-psico-fisiologico è quanto di più soggettivo e intimo ci sia.
Ogni persona deve veder soddisfatti i propri bisogni primari, quelli corrispondenti alla propria tendenza naturale, per poter crescere bene. Solo così continuerà a volere la stessa soddisfazione.
E’ per questo che si dà importanza anche alla durata del soddisfacimento: se copre intensamene l’intero arco del periodo evolutivo diventa permanente e nell’età adulta regge anche alle avversità. Salvo fatti molto traumatici.
Ognuno faccia il proprio elenco, l’importante è che riesca a riconoscere la felicità e che la distingua da brevi momenti di piacere o di gioia.
La felicità è uno stato, abbastanza duraturo, che una persona ha ricevuto nella formazione della propria personalità, e che può replicare in modo quasi automatico, con o senza l’aiuto di elementi esterni.
La descrizione fatta da Peters corrisponde ad un momento di grande gioia per lui. Per vivere momenti così non c’è bisogno di psicoanalisi: basta usare le capacità innate. Quelle che avevamo a disposizione prima che l’ambiente intervenisse a condizionarci.
Si chiamano emozioni, sono vivibili in maniera diversa a seconda della tendenza naturale e sono a disposizione di quasi tutti gli esseri umani. Si possono cambiare alcuni dettagli, giusto la sauna, la neve, la vodka ma possiamo procurarcene altri ugualmente efficaci, o ancora di più, per avere grandi seppur brevi gioie.
Insomma, per provarle non c’è bisogno di psicoanalisi.
Però la felicità è un traguardo diverso e spesso va riconquistata dopo l’adolescenza, qualunque sia l’età.
In quella fase della vita serve fare a noi stessi delle domande importanti, dobbiamo avere la sana curiosità di chiederci chi eravamo, la forza di domandarci chi siamo diventati e soprattutto perché. Provateci e vedrete quanto poco semplice sia il giochino. Se non vi accontenterete di risposte superficiali, perché di quelle se ne possono dare mille ma non servono a cambiare qualcosa, il gioco risulterà davvero complesso.
E servirà un aiuto vero.
E’ bello e complesso riuscire a sapere dove stiamo andando con le nostre emozioni, i nostri sogni e le nostre censure.
Certo, non è così facile decidere di aver bisogno di qualcuno che può aiutarci a riprendere il filo della nostra personalità naturale. Molti coprono la paura, cioè la sfiducia in chi potrebbe aiutarli, con la presunzione di aiutarsi da soli.
Pensate: aiutare se stessi a svelare quello che loro stessi non vogliono svelare.
E’ un bel rompicapo, un dannato conflitto.
A quel punto, o prima possibile, si deve scegliere.
Rassegnarsi ad una vita materialmente sicura, senza troppi scossoni, lontana da presunti pericoli; una vita non esaltante ma nemmeno così deleteria, insomma una vita non troppo splendente, che accecherebbe, ma nemmeno nera. Di un colore tra il bianco e il nero, ecco, che mantenga lì, in apparente tranquillità.
Oppure farci delle domande intime, voler conoscere le radici delle nostre incertezze, dei nostri errori meno desiderati, dei sogni che non riusciamo a realizzare, dei desideri che non possiamo dire. Arrivare a scoprire le gioie che non avevamo mai ammesso, o rivivere le nostre ferite più dolorose, anche quando sono troppo nascoste.
Non aver più paura di ridere, o di esprimere rabbia, o di piangere, ma di far tutto profondamente, con il semplice ma importantissimo desiderio di riavere infine la nostra felicità.