Manipolazione: dall’arte alla tragedia, alla reazione

La domanda è tornata ieri sera nel gruppo, ma in fondo è sempre stata presente nei racconti familiari.
Perché le madri sono descritte molto spesso come manipolatrici?
Le generalizzazioni non sono giuste in psicologia, perché consideriamo ogni persona un soggetto unico, ma se ci riferiamo a condizioni biologiche allora generalizzare è logico e spesso necessario.

Guardiamo per esempio come si sviluppa un essere umano: nove mesi a nuotare nella placenta prima di prendere contattato con l’ambiente esterno.
Qua inizia l’arte della manipolazione: un po’ automatica e un po’ voluta, è l’insieme di attività che consentono ad un minuscolo spermatozoo e ad un ovulo di unirsi per formare una persona. Nove mesi di lavorazione accurata, grandiosa, ma anche faticosa, da parte della madre.
Poi ci sono un paio di annetti di svezzamento in cui la madre moderna e lavoratrice prova a farsi aiutare dal compagno, dai genitori, dai nidi e da chi può.
Ma è sempre lei, principalmente, che guida, nutre, coccola, insegna, amalgama, stoppa, riprende, protegge, insomma manipola quell’esserino che dipende quasi totalmente da lei nei primi due anni.
L’uomo osserva, nel migliore dei casi partecipando, molto più spesso attonito, in conflitto tra la felicità d’essere padre e l’ansia di chi si trova davanti al suo giocattolo preferito senza poterci guardare dentro, come si fa con ogni giocattolo. Qualche volta ricorda sorridendo i momenti in cui c’era lui nella posizione del piccolo, qualche altra volta sputa il veleno dell’esclusione o lo riporta su di sé.
Ma non può certo dire di essere protagonista; se proprio cerca di farlo rischia solo di riattizzare il suo narcisismo.
Poi la personcina cresce e con lei crescono le difficoltà di trovare un’armonia tra le parti.
Tutti e tre, o più, vorrebbero emergere: la madre perché l’ha fatto e fino a quel momento ha dimostrato di essere capace, il padre perché pensa che debba arrivare anche il suo momento di gloria e la personcina perché gli hanno fatto capire che l’hanno tanto attesa e che deve imparare a farsi largo nel mondo.
Fino a quel momento la manipolazione è stata un’arte, qualcosa di bello e di utile. Da quel momento in poi vanno rispettati certi parametri se non si vuole che l’arte finisca in tragedia.
In particolare va studiata la personalità di base della nuova personcina, va rispettata e va favorita la sua spinta naturale a crescere secondo il proprio carattere, che potrebbe essere diverso da quello dei genitori.
La ricetta è molto semplice, in teoria, ma tanto più difficile nella sua applicazione quanto più è complessa la relazione coniugale e la stessa società.
Un cosa è certa: la manipolazione prolungata oltre il tempo della naturale dipendenza è deleteria.
A seconda di quanto è forte può costringere la persona a vedere il mondo in modo ancor più sospettoso del normale:
° può portare la paura del nuovo a limiti patologici, tipo non potersi fidare di nessuno e immaginare che gli altri siano cattivi (sfruttatori, pericolosi, invidiosi ecc…) 
°°può creare illusioni di essere catapultati all’improvviso, e magicamente, in una felicità senza limiti, magari rifugiandosi in sostanze varie, sempre FALSAMENTE sostitutive del paradiso iniziale;  
°°°può esasperare la posizione narcisistica di chi si fissa al periodo simbiotico (intra uterino e allattamento) non riuscendo a sopportare che altri abbiano lo stesso diritto di emergere;
°°°°può sfociare nella rabbia incontrollabile di chi, crescendo, non si rassegna a rinunciare ai privilegi della personcina protetta, curata e accontentata oltre misura.
Ecco la tragedia: una manipolazione eccessiva crea l’illusione di poter restare con i vantaggi dei più piccoli, nella mani di chi vede e provvede a tutto.
Questo, mentre la persona diventa grande ed entra in un mondo che invece, di solito, non le regala proprio niente.
Cresce continuando a mordere il simbolico seno da cui pretende di ricevere quello che gli è stato promesso, anche quando quello non ne ha più.
Cresce senza la capacità di discernere tra ciò che è veramente suo di diritto e ciò che può avere da altri, se riesce a conquistarlo.
Cresce all’anagrafe, cresce nel corpo inteso anche come cervello pensante, ma resta fermo in un aspetto decisivo per il suo equilibrio.
Una vera tragedia, in termini affettivi, per l’individuo. Una tragedia ancora più seria quando un individuo riesce ad ipnotizzarne e a contaminarne molti altri.
Sono possibili reazioni sane nell’età adulta?
Dipende ancora una volta dal carattere di base e dipende da quanto è  stata forte, garbata o sgarbata e duratura, la manipolazione ricevuta in famiglia.
La psicoanalisi, per esempio, ammette di riuscire ad essere efficace solo quando la persona ha un “Io sufficientemente strutturato”. Cioè quando è in grado di gestire gli stati emotivi in modo che diventino sentimenti condivisibili nella realtà e quando può sostenere ragionamenti logici che riguardino tanto se stessa quanto gli altri.

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