Lo voglio monogamo ma lo cerco poligamo

Lo voglio monogamo ma lo cerco poligamoIl conflitto tra monogamia e poligamia, è un tema che la teoria psicoanalitica risolve facilmente, ma è un rebus che tormenta molte donne nella vita reale.
Mi sarebbe facile partire dalla Bibbia per discutere di questo argomento e fare un paragone con la cultura attuale. Nella Bibbia la bigamia e la poligamia sono ben presenti. Abramo, Giacobbe, Davide, Salomone e molti altri avevano tutti più di una moglie. Il profeta Natan dice che se Davide non avesse avuto moglie e concubine sufficienti, Dio gliene avrebbe dato ancora altre. Quanto a re Salomone, aveva la bellezza di 700 mogli e 300 concubine. Solo per fare qualche esempio.
E’ chiaro che seguendo questa strada non riusciremmo ad arrivare a spiegazioni accettabili per una persona che volesse uscire dal suo conflitto amoroso, qui e nel 2017.
Aggiungo che intendo ora trattare della monogamia-poligamia non in senso letterale, di uomo con una o più mogli, né della poliandria, cioè della donna che possa avere più mariti, ma in senso più lato, di possibilità umana di avere uno o più partner contemporaneamente, nella realtà o nella fantasia.
La Bibbia descrive altri tempi e altre esigenze, ha recentemente osservato un commentatore cristiano, e la descrizione ha carattere più sociale che individuale. Vero, tanto che seguendo la prima parte di questa osservazione possiamo cercare di capire i tempi e le esigenze attuali, senza imprigionare le persone in regole ormai superate.
Per quanto invece riguarda la seconda parte, possiamo andare oltre e rivolgerci alla psicoanalisi, che si è rivelata la strada migliore per la conoscenza profonda del singolo individuo nell’epoca moderna.
La psicoanalisi è un sapere più attuale, molto più profondo e soprattutto più libero.
Le sue caratteristiche ci permettono di spaziare in ogni anfratto della psiche senza farci condizionare da giudizi inumani, da sentimenti di colpa, dalla paura di chissà quali punizioni.
L’esempio che utilizzo oggi è quello di una giovane donna, di buona cultura, con una laurea umanistica, un lavoro stabile, che ha trovato dopo essersi trasferita al nord, e un giovane uomo con cui è in crisi.
Tutto persino banale, dal punto di vista psicologico, e infatti si tratta di una condizione sempre più diffusa.
Per questo ho scelto di parlarne anche nell’ultimo corso di specializzazione in psicoterapia.
L’uomo è descritto come tranquillo, sensibile, protettivo, abbastanza intelligente, fedele e generoso. Non laureato, ma ha un diploma tecnico e un lavoro che gli danno soddisfazione. Per i genitori di lei è il prototipo del marito perfetto e infatti da anni i due progettavano di sposarsi.
Progettavano, ma intanto continuano a convivere, mentre lei è in crisi, sempre più confusa e depressa.
La depressione è la conseguenza inevitabile della repressione aggressivo sessuale verso il “fidanzato”, quindi mi riservo di parlarne in seguito, mentre la confusione merita un chiarimento preliminare.
Questa ragazza insiste nel dire che vuole che il suo uomo sia solo per lei e contemporaneamente ammette di essere attirata da altri uomini. Non solo, ma confessa senza tanto imbarazzo che gli altri uomini, oggetti dei suoi desideri, sono quasi sempre impegnati a loro volta.
La mia piccola inchiesta ha confermato che non si tratta affatto di posizioni rare. Quando le persone sono interrogate nel luogo e nel modo giusto, sostengono tesi molto simili a questa.
E allora chiariamo perché.
Il modo che ha la psicoanalisi froidiana, di spiegare la formazione della personalità, è quello di dividerla in cinque fasi che seguono lo sviluppo innanzitutto biologico. La prima è quella orale e descrive il rapporto con la madre, intesa come elemento protettivo e nutritivo.
Riprendiamo allora l’esempio della nostra giovane donna.
Nasce per ultima, dopo due sorelle, e si aggrappa alla propria mamma che la illude, purtroppo, che potrà contare su di lei senza limiti di tempo. Naturalmente non è cosciente della differenza tra un tempo preciso, quello che Freud chiama fase orale, e un tempo fantasticamente eterno, quindi porta con sé, nella fasi successive della crescita, questa illusione. Quel timbro le rimarrà addosso con tutte le sue conseguenze. Per esempio si aspetterà che ogni persona successiva sia protettiva come la madre, sia altrettanto nutritiva, altrettanto potente e soprattutto eterna.
Se lo aspetterà in misura diversa, a seconda della tendenza naturale e di quanto forte e costante sia stato il condizionamento, ma se lo aspetterà.
E infatti il ragazzo è descritto come “tranquillo, sensibile, protettivo, abbastanza intelligente, fedele e generoso”. Intelligenza a parte, che però si traduce con la capacità di comprensione, le altre caratteristiche sono quelle peculiari di una buona mamma.
Sarebbe forse una condizione psicologica perfetta, se il suo mondo si fermasse alla fase orale, ma il tempo passa inevitabile e la nostra si trova con l’apparato digerente che cerca già un cibo diverso dal latte, mentre il corpo inizia a reggersi in piedi e a prendere possesso dello spazio.
Una brava mamma l’aiuterà a camminare sia in senso fisico che in senso psicologico, ma una mamma ansiosa e/o bisognosa cercherà di trattenerla, anche se involontariamente, e le prometterà in modi indiretti, o anche diretti, che sarà felice solo con lei. O che sarà in pericolo se si allontanerà.
Succede in quella che Freud ha chiamato fase anale, in cui prevale la consapevolezza del distacco, il conseguente piacere di diventare autonomi, ma anche il possibile dolore per la perdita e il tentativo di evitarla. Da questi momenti in poi le emozioni si complicano, insieme alle difese, ma anche ai tentativi di trovare soluzioni che non offendano la mamma e non danneggino troppo la figlia.
Sto abbreviando per ovvi motivi di spazio e di tempo, quindi chi legge è pregato di immaginare gli scenari in cui questo rapporto esemplare può svolgersi.
E siamo velocemente arrivati alla terza fase.
La pulsione biologica porta la bambina verso il padre e Freud riesce a spiegare le nuove complicazione con la descrizione del complesso edipico (che, al femminile, Jung chiamerà complesso di Elettra), il cui superamento porta alla fase fallica.
A questo punto, cioè nel momento in cui dovrebbe vivere serenamente la fase fallica, la “nostra” bambina, a causa del mancato superamento della prima fase, si trova con tre pulsioni in conflitto tra loro: la pulsione orale, quella anale e quella edipica.
Dalla pulsione orale, insoddisfatta, si è portata l’illusione che l’amore sia eterno;
da quella anale, non superata, la paura e il dolore del possibile distacco:
da quella edipica (non ancora fallica) il desiderio e la proibizione di avvicinarsi al padre, con l’aggravante delle due fissazioni precedenti.
Insomma la bambina entra nella fase che dovrebbe sancire la sua avvenuta crescita affettiva con il bisogno di completare, prima di tutto, le fasi lasciate insoddisfatte.
La mancata soddisfazione della fase orale la porta nella fantasia che il successivo rapporto col padre possa e debba avere le caratteristiche promesse dalla madre.
E’ una specie di risarcimento postumo quello che si aspetta la bambina.
Ma la fantasia non può trovare riscontro con la realtà, ovviamente, e genera nella bimba la sensazione di essere rifiutata. Se consideriamo che il padre quasi mai è pronto a ricevere la normale spinta affettiva caratteristica della neonata con la mamma, figuriamoci se può reggere la sua radicalizzazione. Perché quella che all’inizio è stata una normale spinta ad essere nutrita, è diventata una pretesa vorace a causa della sensazione di essere rifiutata.
La modalità della neonata, che giustamente pretende il latte della mamma, diventa voracità nella fase edipica col padre.
La gioiosa capacità seduttiva che la bambina avrebbe in fase fallica, si trasforma in rabbia di tipo orale-anale quando non riesce ad uscire dalla fase edipica. Quando il suo sogno di un dolce padre, a sua completa ed eterna disposizione, s’infrange contro la realtà, la sua reazione diventa quella della neonata che non riceve il seno quando ha fame.
Ed eccoci al punto centrale. Il rapporto di pretesa esclusiva instaurato dalla madre viene trasferito sul padre, con il suo carico di angosce di perdita, e dal padre viene portato sull’uomo adulto, quando la bimba diventa donna.
Solo questo spiega perché quel tipo di donna vorrà l’uomo tutto per sé, ma sognerà anche altri uomini, e perché non si accorgerà che quel suo egoismo conflittuale la priverà di alcune caratteristiche importanti dell’uomo: essenzialmente la sua stessa virilità.
L’affermazione iniziale della nostra protagonista è così spiegata. Sua madre l’ha illusa che l’amore sia completo ed eterno, lei, bisognosa, ha trasferito inconsciamente lo stesso principio sull’uomo, ma il suo istinto la spinge verso la soluzione naturale. E allora tiene un uomo-mammo protettivo, o una donna sostituta materna, e si spinge verso il maschio che profuma esattamente di maschio.
Non è detto che riesca a raggiungerlo senza fare una sforzo di revisione della propria vita.
Nel caso che abbiamo preso come esempio è chiaro il conflitto: l’attaccamento all’immagine fantasiosa della mamma perfetta è prevalente in modo assoluto, ma è forte anche la spinta naturale a crescere, a passare alle fasi successive appena si aprisse un varco.
La monogamia non è una condizione naturale; nel migliore dei casi è una scelta consapevole.
E’ una scelta consapevole e socialmente accettata soprattutto per i figli, per accompagnarli allo sviluppo ed educarli insieme.
Ma quante volte è invece il frutto di una paura eccessiva di restare soli?
Ognuno rifletta su se stesso, o su se stessa, ma si ricordi che quasi mai può essere obiettiva, al di là delle più belle intenzioni coscienti. Quasi sempre avrà la spinta inconscia a difendere la condizione raggiunta, anche quando non fosse ottimale. Tenterà di fuggire inconsciamente da sensi di colpa di cui non comprende le radici e le motivazioni.
Quasi sempre avrà bisogno di un aiuto, farà anche una certa fatica a trovarlo adatto, e farà fatica a mantenere la fiducia nello psicoanalista, mentre rivedrà il film integrale della sua vera vita.  

 

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