Il linguaggio psicologico del corpo è quel tipo di comunicazione intelligente, tra individui, che non utilizza la parola e rivela prevalentemente materiale inconscio.
Potremmo paragonare il linguaggio psicologico del corpo a quello degli animali, se non fosse che gli esseri umani utilizzano il corpo non solo per esprimere emozioni allo stato puro, ma anche per rivelare sentimenti complessi, che non possono o non vogliono esprimere con le parole.
A voler essere precisi, anche la parola ha bisogno di una parte del corpo per esistere: l’apparato respiratorio, le corde vocali, la bocca e gli altri muscoli facciali.
Quindi, per chiarire ciò che intendiamo dobbiamo fare tre precisazioni:
Specificare che nel linguaggio psicologico del corpo viene esclusa la parola;
Chiarire il passaggio tra emozioni e sentimenti;
Evidenziare la differenza tra linguaggio cosciente e linguaggio inconscio.
Pensiero e parola. La parola è definibile come “il pensiero espresso con la voce”.
Ma che cos’è a sua volta il pensiero?
E’ un’attività della mente, caratteristica degli esseri umani per quanto ne sappiamo finora, che segue un percorso preciso: il percorso della formulazione logica.
Qualcuno dirà che non è difficile sentir persone che parlano vanvera, senza logica. Ma in questo caso intervengono più fattori:
primo, ciò che è logico per qualcuno non lo è necessariamente per qualcun altro;
secondo, ci sono persone che parlano per avere visibilità, o potere, o per opporsi, o per sfogarsi, insomma per motivi che non richiedono logica, o addirittura per motivi psicopatologici;
infine, sull’attività della mente incide molto l’attività della psiche, cioè quella delle emozioni, anche in condizioni normali.
Le emozioni, come vedremo più avanti, non ubbidiscono alla logica ma appartengono al mondo dell’istinto, a quello che Freud ha chiamato: Es.
Le attività delle emozioni e dei pensieri sono collocate in zone diverse del cervello.
Lo vedremo in uno step specifico del corso “Il linguaggio psicologico del corpo” di cui potete vedere il programma sul sito www.universidue.eu. Lì esamineremo la storia della formazione del pensiero e della parola nell’essere umano.
Ora si pone un altro quesito: tutte le capacità del pensiero appartengono alla consapevolezza oppure no?
Conscio e inconscio.
Ebbene i linguisti, e molti formatori cognitivisti, fanno spesso confusione tra l’attività dell’inconscio e una parte di quella della coscienza.
I motivi sono di vario tipo.
Intanto questi due termini, ma in particolare il termine “inconscio”, hanno una descrizione diversa nella stessa psicologia. In quella cognitiva il termine “inconscio” ha un significato che riporta essenzialmente al gesto automatico, al gesto appreso e poi ripetuto senza l’intervento volontario. Quindi il linguaggio psicologico dell’inconscio per loro è essenzialmente il gesto o l’espressione automatica. Invece nella psicoanalisi, che di fatto lo ha inventato come sostantivo, il termine “inconscio” ha il significato di “contenitore” di vissuti e fantasie che hanno subito il processo difensivo, psichico, della rimozione.
Non voglio qua ripetere i concetti già espressi nel convegno del novembre scorso, organizzato dall’Istituto Mosaico Psicologie, quindi rimando al volume edito per l’occasione, dal titolo “Il percorso dell’inconscio”.
Per la psicologia cognitiva l’inconscio si riferisce ad alcune attività del cervello, di carattere prevalentemente biologico, che non sono sotto il controllo dell’individuo, tipo: percezione, rievocazione, attività automatiche e abitudinarie. Tutte queste attività vengono descritte come fossero oggetti, isolando volutamente la componente affettiva. Per esempio andare in bicicletta, dopo averlo imparato, è ritenuto un gesto inconscio in quando ogni pedalta è fatta per lo più in modo automatico.
Sembra strano parlare delle emozioni senza farle in qualche modo rivivere, ma è ritenuto necessario da chi usa questo metodo per fare formazione oppure per “condurre e guidare” in ambito clinico. In questi casi infatti tra il docente, o il conduttore, e il discente, o il condotto, si ritiene che debbano passare semplici informazioni da apprendere o da seguire.
In psicoanalisi si parte dalla formazione affettiva della personalità. Diverse volte ho potuto analizzare la comunicazione “segreta” utilizzata da un o una paziente.
In particolare la comunicazione di una bambina e di un bambino nel gruppo famiglia, in cui i genitori soffrono di gelosie.
Ricordo per esempio chi mi ha detto “tra me e mio padre non ci sono mai stati rapporti veri, anche perché lui era spesso assente”.
Se prendessi alla lettera questa frase concluderei che quella persona è stata sfortunata. Punto. Ma se guardo bene a come parla senza le parole, cioé al linguaggio psicologico del corpo, se mentre mi spiega che non ha potuto esercitarsi al rapporto col padre, quella persona mi manda inconsci segnali di alleanza e di ammiccamento, come se comunicassimo in pieno accordo da una vita, allora mi faccio qualche domanda sulla genesi dei suoi conflitti.
Potrei allora scoprire che sua mamma, molto gelosa o dominante sul marito, non voleva che questi avesse rapporti troppo stretti con la figlia. Che vietava quel tipo di contatti affettivi che dovrebbero essere raccomandati, non solo accettati, ma che in una cultura basata sulle censure, sul divieto, sulla paura e sull’ansia diventano da difficili a proibiti.
Quello che sto scrivendo con la tranquillità di chi ha visto decine di migliaia di volte le reazioni delle persone, risulta ancora incredibile ai più.
A volte sono informazioni che vengono ammesse a livello teorico, ma con l’espressione di chi aspetta solo la fine del mio commento per tornare nella propria diffidenza.
Eppure basterebbe osservare con maggior attenzione e con qualche informazione di psicoanalisi. Se lo si facesse, in quel caso si vedrebbe come la finezza con cui la bambina inventa, comunica e rielabora il suo vocabolario “segreto” col padre è una vera e propria opera d’arte.
Così, quando il percorso d’analisi porta la donna a ricordare anche i particolari rimossi della sua infanzia, allora quel vocabolario torna alla luce, pian piano è ovvio ma inesorabilmente. Allora la conoscenza del linguaggio psicologico del corpo si rivela come lo strumento principale perchè quella bimba in difficoltà, diventata adulta, possa ritrovare se stessa, la propria forza, le motivazioni per vivere bene.