Intelligenza emotiva: il perché di una critica

L’espressione “intelligenza emotiva” è stata un’idea di due psicologi statunitensi, Peter Salovey e John D. Mayer, ovviamente cognitivisti.

Come dice la parola il cognitivismo ritiene che tutto possa nascere ed essere corretto con la forza della cognizione.

Questi signori, negli anni 90 hanno scoperto che abbiamo anche delle emozioni e che dobbiamo gestirle usando la sola forza da loro riconosciuta: l’intelligenza appunto.

Passatemi il sarcasmo. Lo uso a nome di Freud, che quasi un secolo prima aveva creato la psicoanalisi.
Io sono contrario a chi usa il sapere precedente senza sapere di usarlo o sapendolo ma tacendo le fonti. Nel caso di uno psicologo non accetto che non abbia mai letto Freud, anche se non la pensa come lui, o che lo ignori volutamente.
Non credo che un fisico accetti che un suo collega non abbia mai letto Einstein.

La psicoanalisi si potrebbe definire una psicologia delle emozioni represse e dei meccanismi inconsci che le difendono e cercano di scaricarle.

Eco perché trovo incredibile come ci sia voluto un secolo prima che altri psicologi scoprissero la forza delle emozioni e cercassero il modo di gestirle ignorando chi le aveva già studiate a fondo così tanto tempo prima.
Dunque, “L’intelligenza emotiva” è stata soprattutto una fortunatissima idea editoriale.

Quanto alla sostanza bisogna dire che, purtroppo per i colleghi americani, il concetto è assolutamente sbagliato: lo è alla base e lo è nell’impiego che ne viene fatto ancora oggi, soprattutto nel mondo produttivo.

Di base ogni specialista della psiche sa bene quanto lo stato emotivo sia predominante rispetto alla capacità di comprendere e decidere con coscienza.

Lo sa chiunque si ricordi di avere studiato a memoria un esame e di aver fatto scena muta davanti al professore. lo sa chiunque abbia sognato di fare un figurone al primo incontro con una persona importante, o a lungo desiderata, e si sia poi dovuto vergognare del suo incomprensibile comportamento.

La voglia di ribaltare questa verità è tipica del movimento cognitivista comportamentale che vorrebbe eliminare la necessità di fare i conti con l’inconscio e con i relativi meccanismi di difesa automatici.

Per intenderci, quelli che provocano tutti i tipi di sintomi psicologici e psicosomatici oggi conosciuti

Ecco perché sarebbe così importante poter controllare le emozioni con la parte cosciente dell’essere umano: con il pensiero, con l’intelligenza.
Ma si tratta di un desiderio e basta, proprio solo di un desiderio, irrealistico allo stato attuale, per la complessità della psiche e per la miriade di sfumature di ogni personalità.
Riusciremo un giorno? Chi può dirlo.

Per ora è più giusto prenderne atto e ricorrere agli strumenti che ci aiutano a svelare almeno in parte il nostro inconscio.
Per quanto mi riguarda, poi, farei volentieri i complimenti all’editore che ha lanciato il fortunato libro se non fosse che lo ritengo poco adatto a stare nella mia libreria.
Mi spiace ma preferisco un libro umoristico ad uno che si spaccia per quel che non è.
L’intelligenza emotiva non esiste. Esistono le emozioni ed esiste l’intelligenza. Entrambe abitano il condominio del cervello umano ma in appartamenti differenti. A volte s’incontrano a volte no.
Quello che sanno tutti gli specialisti della psiche è che le emozioni prevalgono quasi sempre.
Lo possono fare in modo diretto impedendo o distorcendo una certa azione. Oppure in modo indiretto provocando sintomi psichici o psicosomatici della cui gravità il soggetto quasi mai si accorge.

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