Noi esseri umani non conosciamo il concetto di fine.
Fino a ieri la fisica e la chimica ci avevano informato che nulla finisce realmente, che tutto si trasforma.
E prima di queste scienze avevano provveduto le religioni a prometterci, in modi anche molto creativi e non privi di secondi fini, che dopo la morte avremmo avuto un’altra vita. La promessa di una prosecuzione della vita, cioè di una “non fine” è sempre piaciuta molto agli esseri umani, li ha sempre appassionati a tal punto da spingerne molti a barattare la vita reale con la promessa di una vita “eterna”.
Al contrario, secondo la teoria psicoanalitica della formazione della personalità, ogni passaggio da una fase ad un’altra comporta un’angoscia di fine, una dolorosa sensazione di perdita che parte dal primo e forse più traumatico distacco, la nascita, e prosegue in modo decrescente man mano che la persona rinforza le sue capacità di vivere ragionando.
Salvo episodi traumatici che possono sconvolgere il normale equilibrio.
Per questo diciamo che la psicoanalisi non fornisce illusioni, non le alimenta e non deve farlo. Il suo compito è quello di rendere le persone coscienti delle possibilità reali che hanno di superare le loro angosce partendo proprio dalla prima e più importante: l’angoscia di fine.
Quanto alla morte, a lungo ritenuta in occidente come la dimostrazione della correttezza del concetto di fine, che a sua volta provoca le angosce legate ad un distacco definitivo, è stata anch’essa sistemata, dalla scienza moderna, tra i momenti di passaggio.
Dunque il concetto di fine non esiste, è solo un vocabolo che significa in realtà trasformazione, passaggio da una condizione ad un’altra.
Lo è nella realtà quotidiana, ma non più solo in quella.
Se ti laurei hai finito l’università, e va bene, ma vuol dire solo che non darai più quel tipo di esami e ne darai altri, continuamente; continuerai a studiare per tutta la vita, passerai semplicemente ad altri interessi, forse, e un ritmo più in linea con la tua vita e con le tue possibilità. Se hai terminato di comporre una musica il tuo cervello sta già iniziando a cercare la combinazione successiva, se hai appena scritto un libro il tuo inconscio è già al primo capitolo di quello successivo.
Se non hai più il tuo amore tra le tue braccia già soffri o gioisci al pensiero del prossimo. Oppure ti blocchi per quello che c’è sempre stato nel tuo “cuore” e di cui quasi sempre non hai avuto coscienza.
Ma c’è molto di più.
Siamo già entrati in un’epoca in cui la realtà fisica ci viene presentata in modo totalmente rivoluzionato rispetto alle conoscenze trasmesse o manipolate fino ad oggi.
La matematica e la fisica ci hanno catapultato nell’era dei mondi paralleli, fino ad ora impensabili, hanno aperto le porte a a ipotesi che nemmeno la fantascienza era riuscita a descrivere. In poco più di 50 anni siamo passati dal fantasticare che non fossimo soli nell’universo alla dimostrazione matematica che ogni nostra azione può essere essa stessa un universo nel vero senso della parola. Ogni nostra esperienza può essere un universo che ne comprende tanti altri, tanti quante sono le possibilità teoriche di svolgimento dell’azione stessa.
Il principio su cui si basa questa teoria, e chiedo scusa se la espongo non da fisico, è che le particelle hanno la capacità di esistere contemporaneamente in luoghi differenti. Gli studi più recenti, che potrebbero essere già superati mentre scrivo, ci dicono che gli altri universi, ai nostri occhi invisibili, sarebbero posti in uno spazio di dimensioni diverse e che alcune particelle, i gravitoni, potrebbero muoversi da un universo all’altro in seguito alla forza di gravità. Il fatto che lo facciano solo alcuni di essi, e non altri, è oggetto di approfondimento.
Ma a questo punto, il concetto di fine si fa sempre più distante e sfumato.
Tra parentesi, quando il matematico americano Hugh Everett III affermò il suo principio, fu talmente deriso dai suoi colleghi che prese la decisione di lasciare la carriera accademica. Comprensibilmente deluso.
L’ho messa tra parentesi questa notizia per dire che lui stesso non aveva tratto beneficio dalla sua intuizione, che cioè tra la conoscenza teorica e la sua trasformazione in pratica c’è spesso una distanza fatta da emozioni che sono difficili da controllare, come dimostra la psicoanalisi.
Il suo modello matematico porta alla conclusione che negli universi paralleli ogni accadimento è ripetuto in vari altri modi possibili, contemporaneamente. Facendo un esempio puramente ipotetico, se una persona vive un’esperienza d’amore deludente in un mondo, vuol dire che in un altro quell’esperienza potrebbe essere appassionante, anche se sotto forme totalmente diverse, e in un altro semplicemente serena. E questo moltiplicato per tutti i momenti che compongono quell’esperienza dà un infinita gamma di possibilità.
Non è una teoria semplice da accettare e io la complico involontariamente non avendo le capacità specifiche per riportare la dimostrazione matematica, ma vale la pena fidarsi di chi l’ha fatto e di chi sta continuando quella ricerca.
Da psicologo ottimista penso che Everett III avrebbe dovuto godere della fantasia, difensiva quanto volete, che in un altro universo il mondo accademico avrebbe anche potuto applaudirlo. Ma questo appartiene al campo dell’affettività, della capacità umana di difendersi da ciò che è molto doloroso, di utilizzare anche la fantasia come compensazione e il pensiero come difesa dalle emozioni eccessive.
Purtroppo il mondo della psicoanalisi è ancora poco conosciuto dalla maggior parte di fisici e matematici. E viceversa.
Poi c’è un’altra ipotesi affascinante a proposito del concetto di fine: l’esistenza dell’antimateria. Ormai braccata dopo anni d’inseguimento sia sulla terra (penso all’acceleratore del Cern) sia nello spazio (tramite l’Alpha Magnetic Spectometer) l’antimateria sta per rivelarsi ai suoi ricercatori.
La teoria dice che all’inizio dei tempi c’era simmetria tra materia e antimateria, e dove c’è simmetria, come ben sanno tutti gli psicoanalisti e psicoterapeuti della coppia, scoppia prima o poi la guerra, volendo, o dovendo ognuno dei due soggetti prevalere sull’altro.
Così successe tra materia e antimateria. Ci fu uno scontro epico e il Big Ben altro non fu che il risultato di uno scoppio tra due forze potenzialmente uguali.
Vinse la materia, di misura, e l’universo da noi conosciuto sarebbe il frutto di quella vittoria.
Ma l’antimateria non è finita ovviamente, poiché “nulla si crea e nulla si distrugge”. L’uomo sa che è da qualche parte e la sta cercando più convinto che mai d’essere ormai sulle sue tracce.
La fisica mi piace perché non ha confini visibili, perché apre continuamente nuovi orizzonti. Come e più della psicoanalisi che viaggia nei meandri infiniti delle probabilità della psiche.
Questa è la mia riflessione di oggi e si basa sul desiderio di capire e aiutare quelle persone, sempre più numerose, che si sentono perse in questa società.
Il concetto di fine non esiste, ma nella realtà esiste la paura di uscire dalla protezione, da quella primaria e dai surrogati successivi, esiste la paura di uscire da ogni dipendenza e finire nel nulla.
Contro questa paura mi batto, come tanti miei colleghi psicoanalisti.
Il nostro obiettivo è di ripristinare nelle persone i meccanismi di difesa indispensabili a vivere bene, partendo dalla fiducia in se stessi e negli altri.
Ovviamente il primo corollario è di allontanare dalla psiche i meccanismi diventati nocivi, in particolare quelli basati sulla paura della fine e spesso anche sull’odio verso chi ne sarebbe responsabile.