I sentimenti che non ti aspetti in agosto
Agosto: il caldo nella città quasi deserta ha un ché di diverso da quello che ho lasciato sulla spiaggia. E’ silenzioso, quasi spettrale, con quella nebbiolina di vapore che lo accompagna e diventa sudore sulla pelle.
Ma è per pochi e questo lo rende un po’ esclusivo.
Ma si, ne prendo volentieri il lato migliore, anche perché domani non ci sarò già più, e dopo domani inizierà l’autunno.
Mi sento molto ottimista, come quando va tutto per il verso giusto.
Anzi, approfitto del tempo e del giorno libero per andare in posta a pagare l’inevitabile multa che mi regala periodicamente l’autovelox.
La micidiale diavoleria che viene sparsa ovunque nelle strade periferiche. Ormai è di tutti i colori, in modo che tu non la possa riconoscere nel caso avessi memorizzato un colore particolare: adesso è grigia, blu, arancione, fumo di Londra, a caso. Non indovinerai quale sarà il prossimo colore che t’incastrerà.
Ma oggi è agosto e sono buono.
A volte, sulla strada, c’è il segnale e non l’apparecchio; a volte il segnale è ben nascosto e ti compare l’apparecchio all’improvviso.
D’estate poi, con la vegetazione abbondante, possono essere coperti entrambi, ma la multa ti arriva puntuale e visibilissima.
L’autovelox ti coglie in fallo quando non ricordi più a che velocità devi andare in quel tratto di strada e allora te ne accorgi mentre stai per superarla.
Pazienza, siamo in agosto, voglio solo pensieri rilassanti e mi prendo tranquillamente il tempo per andare in posta.
In agosto nessuno ha la fretta che si ritrova a novembre, tra una scadenza e l’altra; né tantomeno la frenesia di aprile, quando il primo sole caldo ti chiama verso il mare e la città inizia a sembrarti stretta; o in giugno, quando decisamente diventa una gabbia insopportabile.
In agosto sono quasi tutti via, anche quelli che portano mollemente il corpo in giro per le strade di città, che scottano come forni.
Con questi differenti pensieri in testa, e il bollettino già compilato in mano, entro all’ufficio postale.
Mentre apro la porta una ragazza mi passa davanti senza guardarmi.
“Decisa!” penso col sarcasmo di chi si sente ingiustamente spinto da parte; d’altronde se l’avessi vista per tempo le avrei ceduto il passo io stesso, volontariamente.
Mi consolo, che bei pensieri in questa silenziosa mattinata d’agosto.
Entro a mia volta, c’ è persino freddo, e mi guardo attorno.
Ci sono solo in due, di cui una è la ragazza e l’altro un uomo dall’aspetto medio orientale.
Fantastico, mi sbrigherò in un attimo!
L’uomo è allo sportello e fa fatica a farsi capire. Ha in mano un modulo da compilare, mi pare che debba farlo prima di caricare un bollettino di pagamento.
Mette il modulo sul posto di fianco a destra e il bollettino su quello a sinistra, così occupa tre sportelli e si muove continuamente da uno all’altro, tanto da sembrare un solo larghissimo corpo agitato.
La cosa va per le lunghe, anche perché l’impiegato sembra un volonteroso sostituto estivo, piuttosto incapace e tanto ansioso.
Siamo in agosto, penso che in fondo ho molto tempo a disposizione. E qua sono al fresco mentre fuori si bolle dal caldo.
Va beh, magari avrebbero potuto mettere delle seggiole per noi vecchietti in attesa. Ma pazienza, capisco perché godiamo la fama di essere brontoloni.
Entra una signora dal corpo decisamente ingombrante, col capo coperto e un bimbetto che la insegue cercando di tenerle il lungo vestito. Dà l’idea di esserselo messo in previsione del freddo che avrebbe trovato qua dentro: mi sembra di panno, color terra.
Ci passa davanti, affianca l’uomo e gli sussurra qualcosa. Quello l’ascolta e inizia ad agitarsi più di prima, anche alzando un po’ la voce, mentre l’impiegato è sul punto di dare le dimissioni.
Meno male che siamo in agosto e non ho altro da fare che godermi la scena.
Purtroppo, dopo un certo tempo mi vien da pensare perché non intervenga qualcun altro ad aiutare il povero impiegato.
Chiudo gli occhi, prima che il cervello venga occupato dal fruscio stressante tipico dei mesi da lavoro, in cui ogni cosa deve essere sempre perfezionata.
La ragazza intanto mi è passata dietro perché sta tentando di lavorare con il computer a disposizione del pubblico, posto al centro della sala, ma qualcosa non le funziona a dovere e inizia a brontolare con parole incomprensibili.
Il ronzio si fa sempre più insistente. Io non penso più all’autovelox ma a come farla tacere.
Entra un’altra signora: minuta, sorridente, saluta anche chi non la guarda e si mette in fila, in attesa.
Provvidenziale, vorrei ringraziarla.
Finalmente l’impiegato chiama aiuto, forse il suo orgoglio non gliel’ha permesso prima, ma va bene così.
Ecco, devo cacciare i pensieri del tipico pensionato brontolone.
Arriva finalmente una sua collega dall’aria esperta e chiama la coppia da parte: “venite, ci penso io”.
Che brava, mi sento di nuovo in pace.
Entra Lui.
E’ un uomo sulla quarantina che indossa una vistosa maglietta da spider man. Cammina un po’ su e giù mentre lo sento bisbigliare qualcosa con finale “…..e c’è la signora”.
Si piazza a fine coda e inizia a scusarsi ad alta voce, non si sa di cosa ma sembra che l’obiettivo sia proprio la signora. Ripete come in un mantra “scusi sa scusi, mi scusi tanto, sa…” non si sentono bene le altre parole ma mi pare che le farfugli sottovoce apposta, perché non contano niente.
Dopo qualche minuto vedo che la signora gli ha ceduto il posto: spider man può essere orgoglioso!
Sto cambiando d’umore.
Ora deve superare la ragazza, suppongo, ma appena vedo che l’impiegato ha ripreso le sue funzioni mentali, penso io a fare il cavaliere e invito la ragazza a passare. Almeno un brontolio lo elemino.
Lei ringrazia e aggiunge: “faccio prestissimo”.
Bene, posso tornare nel mio silenzio rilassante.
Illusione.
Il tipo spider man, che adesso è a una spanna dalla mia schiena, mi alita contro un fiato veramente fetido. Ha colpito nel segno: è la cosa che davvero non riesco a sopportare.
Cerco di allontanarmi un po’.
Mi segue come un bulldog. Avanzo ancora e spero che la ragazza faccia presto come aveva promesso.
Niente di più falso: si è messa a chiedere spiegazioni di un’operazione al computer al povero impiegato sostituto che non sa più da che parte prendere. Chiama di nuovo la collega esperta e quella urla che non è sant’Antonio, e non riesce a fare tante cose insieme.
L’uomo dietro di me fa veramente vomitare e non riesco a distanziarlo anche se supero la linea gialla di cortesia.
Vorrei dare una mano alla ragazza, assumere un ruolo vicino allo sportello, avere una scusa per star più lontano da spider. Purtroppo non credo che riuscirei a risolvere davvero un problema col computer se non riescono quei due.
Accidenti. Arrivo pian piano di fianco a lei in modo che si accorga del perché della mia impazienza.
Equivoca.
Si volta con l’aria di chi allontana l’ennesimo fastidioso importunante.
A me!
Mi sento un verme ma la situazione è disperata. Chiedo se posso aiutarla: che figura!
Lei si toglie da lì ed esce col proposito di andare in un ufficio più normale.
Mi spiace, ma almeno adesso tocca a me.
Presento il bollettino già compilato così ci metteremo pochi secondi, penso, e lo lascio scivolare oltre il vetro di divisione.
Ma in quel momento l’impiegato sostituto stressato, si alza con grande agitazione, chiede scusa e va, credo che scappi in bagno.
Il tipo dall’alito fetido si è avvicinato. Ha superato senza problemi la linea di cortesia ed è lì allo sportello vicino a me. Mai sentito una puzza così dai tempi in cui andavo in campagna e m’imbattevo in porcilaie. D’estate.
Non posso nemmeno allontanarmi perché il bollettino adesso è dall’altra parte del vetro.
Mi sento in trappola. Mi sto davvero arrabbiando. Ma con chi?
L’impiegato torna, visibilmente più rilassato, beato lui, sbriga la pratica in pochi secondi e mi lascia finalmente libero di tornare nel meraviglioso, umido caldo soffocante della città.
E’ agosto…
Ma troverò bene il modo di sfogarmi prima di sera.