Freud, Cannon e Moreno: verso l’atto creativo

Il più simpatico, caratteristico e riuscito meccanismo di difesa psichico penso sia quello della sublimazione.
Freud lo ha descritto come un tentativo che l’Io mette in atto contro le angosce, derivanti da pulsioni altrimenti impossibili da gestire.
In altre parole, la sublimazione è parte integrante delle pulsioni sessuali e aggressive, ma trova una scarica differente.
Una scarica che tra l’altro è caratteristica specifica dell’essere umano.

  • Procura una certa soddisfazione inconscia, e in questo senso accontenta l’Es;
  • blocca in parte la potenza delle pulsioni, quando risultano pericolose o ingestibili per il soggetto, e in questo senso accontenta il Super-Io;
  • evita la formazione di dolorosi disequilibri, e in questo senso accontenta l’Io.


Se si aggiunge che all’inizio la sublimazione fu descritta come un insieme di attività socialmente utili, si può capire la soddisfazione che aveva Freud quando ne parlava.
Era una buona intuizione.
In fondo lui stesso stava impiegando parecchie energie nella ricerca scientifica, nello scrivere, nel difendere la sua neonata psicoanalisi.
Anch’egli stava spostando molta libido nel canale della sublimazione.
Poteva solo parlarne bene.

E veniamo a Cannon.
E’ stato il primo ad utilizzare il termine “stress”.
Era il 1935, una quarantina d’anni dopo che Freud aveva coniato un altro termine, “nevrosi”, per definire uno squilibrio simile, anche se con un taglio più affettivo.
Il biologo Cannon e un anno dopo il medico Selye hanno studiato la reazione di una persona che soffre dello squilibrio tra le sollecitazioni dell’ambiente e le possibilità di potervi far fronte con le proprie risorse.
La differenza con la psicoanalisi, che pure affonda le sue radici nella biologia, è che Cannon e Selye hanno approfondito solo l’aspetto della fisiologia e del funzionamento chimico e meccanico di uno stato di stress.
Anzi dei due stati di stress, visto che Selye ha distinto uno stato fisiologico a risposta rapida (tramite il sistema nervoso), da uno stato più lento (tramite il sistema endocrino) che arriva dopo e può durare anche molto tempo.
Troviamo ovviamente utile che le intuizioni psicoanalitiche siano suffragate dalla ricerca sul funzionamento dei neurotrasmettitori e su quello degli ormoni.
Anche perché Selye ha parlato chiaramente di stress dovuto all’adattamento all’ambiente, cosa che sostiene anche Freud.
Insomma, si può pensare che in due tempi e modi diversi siano arrivati entrambi a dire che la responsabile originaria di patologie, fisiche o psichiche, sia la perdita della spontaneità.
Restano però alcuni punti interrogativi nella descrizione chimico-fisiologica.
Per esempio non è stato spiegato perché l’ambiente che l’essere umano fotografa fin dalla nascita (come sostiene oggi la teoria dei neuroni specchio) debba creare stress.
Sembra ben strano un simile concetto.
Se ognuno di noi ha un insieme di predisposizioni genetiche fatte apposta per conformarsi all’ambiente, perché mai dovrebbe stressarsi quando lo incontra e quando ci si deve adattare?
Dovrebbe trattarsi di un processo naturale, quindi bello e tranquillo.

La teoria di Cannon e Silye è incompleta, come minimo.
Stranamente incompleta, se si considera che lo psichiatra di Zurigo, Jung, aveva già pubblicato il suo volume “Tipi Psicologici” nel 1921 e già da allora aveva ipotizzato che tutti nasciamo con una parte di carattere definito, oltre che con predisposizioni genetiche.
E un altro psichiatra di Zurigo, Rorschach, nello stesso anno 1921, aveva pubblicato il suo “Psychodiagnostik”: il test proiettivo divenuto il più famoso nel mondo.
Un test che misura l’evoluzione della personalità partendo da caratteristiche relazionali (introversione ed estroversione) arcaiche e comuni a tutti.
Caratteristiche quindi indipendenti dalle predisposizioni genetiche, che invece possono essere diverse da individuo a individuo e tanto antiche da risultare prive di condizionamenti.   

E’ successiva, invece, la ricerca che ho personalmente iniziato nel 1980, tesa a dimostrare sia parte dell’ipotesi di Jung, sia il teorema di Rorschach su introversione ed estroversione, arcaiche ed acquisite.
La mia ricerca è stata teorica, ma anche lungamente pratica, per cui oggi sono più che mai convinto che ognuno di noi nasca con una tendenza relazionale precisa, indipendente dalle predisposizioni genetiche.
Dunque, molti disagi psichici e psicosomatici sarebbero evitabili se l’ambiente imparasse a conoscerla e a rispettarla. 
(cfr: Rapaggi “Amore Sintomo e Carattere”, 1994, Bo e “La psicoanalisi olistica”, 1996, Bo)

Passiamo ora a Moreno.
L’ideatore dello psicodramma, aveva preso molto seriamente la frase della bibbia “e Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza”.
Decise dunque che l’obiettivo della psicoterapia poteva essere solo quello di riportare l’essere umano alla sua condizione originale.
Interpretando il suo eccessivo entusiasmo, diciamo che l’obiettivo era quello di accompagnare la persona verso lo stato che precedeva il simbolico peccato originale.
Moreno, così mi disse sua moglie Zerka, chiamò questo stato: spontaneità.
Ne consegue che l’atto creativo dell’essere umano sarebbe stato possibile solo ad imitazione di Dio, cioè partendo dall’assenza di condizionamenti.
Ma gli esseri umani iniziano a subire condizionamenti dell’ambiente già dai primi giorni di vita.
Una madre ansiosa è sicuro che trasmetta ansia insieme al latte che dà al figlio.
Un padre, o un fratello, violento è sicuro che trasmetta angosce e rabbia dalla prima volta che urla a bestia.
Ma anche una madre e un padre troppo permissivi non trasmettono la sicurezza che manterrebbe spontanei i figli.
Chiusa la parentesi, resta il problema di come conciliare l’idea grandiosa di Moreno con la vita reale.
Basta ricorrere all’istanza che Freud ha chiamato “Io” e ragionare cercando una mediazione tra fantasia e realtà, appunto.
Così è possibile dire che l’atto creativo parte dalla spontaneità umana, cioè da una condizione che si avvicina il più possibile allo stato di pre-condizionamenti e non dalla perfezione divina.

La spontaneità può vedersi meglio nel bambino, finché è poco condizionato, mentre nell’adulto diventa quasi sempre uno stato da riconquistare, con più o meno fatica.
Moreno ha visto nel suo Metodo Psicodrammatico lo strumento più adatto a riportare la spontaneità nelle persone.
Sono d’accordo finché si rimane sul piano dell’aiuto ad incrementare la componente spontanea ancora viva in una persona.
Ma quando si tratta di ripristinare uno stato di equilibrio partendo da una psicopatologia, sono più in linea con gli psicoanalisti che hanno aggiunto allo psicodramma il metodo di Freud e Jung. Poi con chi mi ha suggerito di usare anche la bioenergetica di Lowen e tecniche simili.
Motivo?
I due grandi della psicoanalisi e i loro discendenti teorici hanno trascurato, nella pratica, la forza guaritrice del lavoro sul corpo.
Più semplice a dirsi che a farsi, certo.
E’ vero però che i cambiamenti, dalla rigidità alla duttilità, si vedono chiaramente nelle persone che seguono bene lo psicodramma analitico integrato.
E’ quello che posso testimoniare perché lo vedo con i miei occhi, ma sono convinto che succeda la stessa cosa ad altri colleghi, a quelli che lavorano con passione, esperienza e metodi simili, nei contesti più vari.

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