BUONISMO E CATTIVISMO
Buonismo è un termine usato sempre più spesso.
Lo si dice degli avversari politici che farebbero esibizione di una bontà falsa. E’ uno dei mezzi per attirare facilmente simpatie e voti tra le persone, diciamo semplici.
E’ usato anche nelle coppie. “Ma non stare a fare il buonista” è un’espressione che sta entrando nel lessico della discussione accesa tra i partner.
E’ sarcastico, ovviamente, quindi contiene una certa dose di disprezzo malcelato.
Per questo propongo una riflessione.
Se la frase sarcastica si riferisce al fatto che l’altro esibisce una parte di sé non vera, chi la dice deve tener presente che quel “falso Sé” è un prodotto dell’inconscio e chi lo usa non sa di farlo, finché un buon analista non lo porta alla sua coscienza.
Nel migliore dei casi, fargli un rimprovero è un’offesa gratuita e perfettamente inutile.
Ma può anche servire per vincere una disputa grezza, davanti a una platea ritenuta ignorante.
Nel peggiore dei casi poi, c’è la possibilità che il disprezzo riguardi l’esistenza stessa della bontà.
E’ vero, c’è chi non sopporta che la bontà abbia un posto in questo mondo e che addirittura venga esibita.
Perché?
Per esempio, perché conserva ancora troppo rancore verso chi avrebbe dovuto essere buona o buono con lui, quando aveva solo bisogno di protezione.
Se questa persona ha ritenuto cattivi i personaggi che l’hanno cresciuto, cattivi rispetto alle proprie richieste, naturalmente, allora si abitua a guardare tutto il mondo con gli occhi del rancore.
E vede un gran numero di cattivi intorno a sé.
Penserà: se non sono stati buoni mamma, papà e fratelli, allora chi altri può essere buono?
Anche da adulto gli rimarrà questo segno, e sarà più o meno energico e duraturo, a seconda della forza e della costanza con cui è stato impresso.
Per questo non sopporterà che qualcuno si definisca buono, faccia il buono, mostri gesti o pensieri di bontà, stuzzichi e alimenti il desiderio di bontà in altre persone.
Lo chiamerà buonista per allontanarne l’effetto su di sé, più che per avvertire gli altri che si tratta di un falso.
Ecco allora il cattivismo: l’esibizione di una cattiveria falsa o di comodo.
Non è un termine che si trovi sui dizionari, e non ho mai capito perché.
In fondo è solo il contrario del buonismo e viene esibito più o meno allo stesso scopo: attirare l’approvazione e i voti di chi vuole sfogare la propria cattiveria.
Spero che non vi sembri strano, perché lo vediamo sempre più spesso interno a noi.
Il cattivista non è detto che sia cattivo nella sua vita privata, è certo che fomenta e attira la cattiveria di altri.
Potrebbe non esserne cosciente, agire per inconscia difesa contro le proprie paure, dunque non sarebbe criticabile direttamente.
Come succede per il buonista, anche per questa persona sarebbe indispensabile l’intervento di uno psicoanalista.
Scoprirebbe che ha dovuto usare la maschera aggressiva, proprio per proteggere una parte di bontà che non era permessa nella sua prima infanzia.
Sembra incomprensibile?
Allora facciamo l’esempio più semplice.
Il bimbo che ha vissuto la primissima parte della vita nelle braccia di una mamma coccolosa e protettiva, ha formato un nucleo di sé voglioso di continuare ad avere per sempre quella dolcezza e quella bontà.
Lo stesso bimbo che incrocia un padre geloso e forse aggressivo, crescendo può usare la propria aggressività soprattutto per affrontare il pericolo di soccombere.
Un pericolo quasi certamente inattuabile, frutto di fantasia, ma con una base di realtà che si basa sulla maschera del padre: sul tono della sua voce, sulla sua mimica, sulle sue minacce verbali, forse anche sulle ansie della madre.
Questo individuo potrebbe continuare a tenere la maschera che ha interiorizzato dal padre. E potrebbe farlo con coscienza.
Potrebbe mantenerla per calcolo politico, sociale o anche relazionale. Per avere voti, per aumentare i consensi o per paura di sentirsi tragicamente fragile davanti alla propria compagna.
Ovviamente il meccanismo funziona anche per le femmine, anche se quasi sempre con modalità differenti.
Perché ho fatto questa riflessione?
Per invitare le persone a non accontentarsi delle maschere che vedono. Per ricordare che l’essere umano è complesso: spesso inconsciamente falso, a volte coscientemente imbroglione.
Che sempre dovrebbe essere visto con la lente della psicoanalisi: una lente che cerca la verità senza giudicare, ma con il preciso scopo di difendere sempre se stessi e chi si ama.