Una delle prime cose che chiede il paziente, implicitamente o esplicitamente, quando si prepara ad entrare in analisi è quanto durerà la sua cura. Suppongo che la risposta la sappia già, visto che quasi mai le mie parole incidono sulla sua decisione, in ogni caso da quella prima espressione d’ansia a quello che avverrà al momento opportuno c’è sempre una grande differenza. Faccio un esempio, che per la verità non rappresenta la maggioranza statistica dei pazienti, ma che contiene elementi di riflessione particolari e interessanti. Walter ha una quarantina d’anni. Mi scuso per l’imprecisione ma io considero soprattutto l’età psicologica delle persone, e in questo caso dovrei dire 16 con regressioni a 4, ma dovrei anche spiegare che cosa intendo, a beneficio di chi non lo sapesse. Va bene, questo lo farò alla prima occasione possibile. Tornando a Walter e vedendolo nel momento in cui si è presentato a me, lo posso descrivere come un uomo che piace, che trasmette subito alleanza, un uomo schietto ma molto più introverso di quanto non voglia far vedere e di quanto sarebbe per tendenza naturale; ha una moglie a cui dice di tenere molto e tre figli, due femmine e un maschio; ha un’ottima posizione lavorativa e trova il tempo per più di un hobby che lo tengono in forma fisica. In apparenza dunque non entra in analisi con un sintomo da debellare, e infatti mi chiede semplicemente di rivedere un po’ la sua vita perché qualcosa non va ma non sa cosa. Una richiesta ideale per uno psicoterapeuta di scuola psicoanalitica. La faccio molto breve perché non ho qui pretese scientifiche ma solo descrittive. Dopo tre anni di sedute individuali i suoi comportamenti erano migliorati di molto, nel senso che lo rendevano molto più soddisfatto: in altri termini significa che quelli si erano di molto avvicinati alla sua tendenza naturale e che lui aveva perso pian piano gran parte delle resistenze psicologiche, delle censure e delle rigidità che l’avevano stretto in una nevrosi occulta, “trasparente”. Una nevrosi che non si era mostrata in modo chiaro ma che gli aveva comunque impedito di realizzare i suoi veri sogni e di godere appieno di tutte le belle conquiste della sua vita. Aveva realizzato ciò che sarebbe piaciuto a tanti, alla società e soprattutto a suo padre, ma non si era accorto che una delle realizzazioni più importanti non lo interessava veramente, anzi era un gran sacrificio: il suo matrimonio. Quando parlava del suo matrimonio era la contraddizione in persona. Nessuna donna lo soddisfaceva così tanto a letto e nessuna donna era così deficiente nel vivere quotidiano. Rispetto alla sua razionalità rigida quella donna era un terremoto, un concentrato di assurdità di cui in analisi faceva sempre un lungo e puntale elenco, alla fine del quale diceva di volerla comunque. Un giorno venne e mi annunciò con enfasi che un suo amico gli aveva consigliato una giovane “massaggiatrice” che gli avrebbe fatto passare il malumore. Disse che lui si era fatto convincere e che lo aveva fatto malvolentieri perché era schifato dall’idea di dover pagare una donna per avere qualcosa che sua moglie gli dava gratis, e anche bene. Fatta la premessa auto assolutoria ammise di avere fatto quella prima esperienza, me la descrisse con entusiasmo nei dettagli e si ripromise di ripeterla. <Tanto più> aggiunse <che il rapporto con mia moglie è migliorato di molto. Lei dice che questa settimana sono meno scorbutico, io dico che vedo meno le cazzate che fa, o che non m’interessano più di tanto>. Così continuò per un certo periodo, sto sempre tralasciando i dettagli scientifici del percorso psicoanalitico, finché un giorno venne in netto ritardo alla seduta e disse: <guardi dottore ho riflettuto sul lungo momento di crisi che attraversiamo tutti in Italia e ho bisogno di un suo consiglio: è meglio che vada regolarmente dalla massaggiatrice e smetta l’analisi, o viceversa?> Ho risposto: <Il fatto che se lo chieda significa che ha ancora bisogno dell’analisi, ma il fatto che me lo chieda vuol dire che il suo preconscio ha già deciso, perciò le auguro buon divertimento. Lei sa che io sono sempre qua.> E per molto tempo non l’ho più visto. Il suo ritorno e quel che ne è seguito merita una descrizione più precisa che riservo ad altro mezzo e occasione. Qui ho solo voluto portare un esempio di come l’inconscio intervenga a difendere la nevrosi quando l’alternativa può essere il cambiamento di una situazione cronica. Per effetto del transfert, Walter ha riportato in analisi la situazione vissuta in famiglia e l’ha agita, ha trasformato in azione una fantasia, preferendo la massaggiatrice, cioè la persona che lo accarezza e lo soddisfa senza mettere ostacoli come fa la mamma col bimbo piccolo, alla prospettiva di doversi caricare della responsabilità di provocare un cambiamento nel suo modo di condurre una relazione. Una situazione nevrotica appunto, in cui il legame è forte proprio perché fatto da emozioni contrapposte: di affetto e contemporaneamente di rancore. Una situazione che l’analisi riproduce nel transfert, dove lo psicoanalista accetta anche il rischio di reazioni di paura come quella descritta. La durata della cura psicoanalitica è legata alla personalità e all’esperienza dell’analista, alla gravità del problema da affrontare, alla struttura della personalità del soggetto, e quindi alla relazione tra i due. Ovvero al transfert e alla possibilità che sia analizzato e superato, come insieme di schemi interiorizzati, riprodotti inconsciamente, direttamente visibili nei loro disequilibri e qualche volta, ahimé, trasformati in azioni dall’obiettivo illusorio e onnipotente.